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Broni, la maxi truffa del vino

Il capo dell’antifrode che insabbiava le segnalazioni. E tutto è partito da un anonimo. Sono quasi 300 gli avvisi di garanzia ad ex amministratori e produttori

«Registrate tutti i carichi di uva, almeno in questo periodo». A parlare è l’ex direttore della Repressione frodi di Milano (Icqrf), Piero Maria Meregalli. Estate 2014. All’altro capo del telefono c’è il direttore generale e amministratore delegato della cantina Terre d’Oltrepo Livio Cagnoni, preoccupatissimo per alcune «cineprese» comparse attorno all’azienda a poche settimane dalla vendemmia: «non vorrei che fosse un magistrato». Solo a novembre, con il primo blitz che porta a Broni 270 agenti della forestale per una serie di perquisizioni a tappeto, i due scopriranno che era proprio così: la Procura di Pavia stava indagando su una truffa del vino da 20 milioni di euro all’anno, tra il 2010 e il 2014. Dopo la pensione, l’ex funzionario del ministero dell’Agricoltura era diventato consulente della coop vinicola, la più grande della Lombardia con un fatturato da oltre 40 milioni: con la sua esperienza i registri dovevano apparire inattaccabili ma, secondo l’accusa, non era così e l’ex direttore dell’Icqrf aveva tenuto comportamenti «gravissimi» anche in passato. Come nel 2008, quando a capo dell’ufficio di Conegliano (Tv) tentò di insabbiare segnalazioni su presunte irregolarità commesse a Broni. Secondo gli inquirenti, accanto alla contabilità ufficiale, c’era quella parallela che permetteva di alimentare la truffa, pagando i soci complici e acquistando mosti concentrati, zucchero (per 1 milione di euro) e altri prodotti: servivano ad «aggiustare il vino», venduto sfuso in cisterne a importanti clienti, come Cavit, Enoitalia, Zonin, Losito e Verga, Cantine Palazzo e Pirovano. Tutti estranei all’indagine.

 

La truffa, secondo la Procura, consisteva nel colmare il potenziale dell’uva meglio pagata, il Pinot grigio Igp (200 quintali per ettaro di vigneto), nonostante la produzione reale fosse molto più bassa. Le «sete» di questo vino, che finiva soprattutto negli Stati Uniti, era schizzata alle stelle dal 2010, e le quotazioni arrivavano a 65 euro al quintale contro i 40 di altre varietà. Per arrivare alla massima quantità consentita c’erano due strade: portare uva diversa o non portare proprio nulla, emettendo documenti di consegna falsi. Centinaia di tonnellate di uva inesistente. Poi in cantina si metteva tutto a posto. Messo alle strette durante gli interrogatori, l’enologo trevigiano Giovanni Menini parla di «tagli» anche oltre il 50%, quando il limite è del 15: «Non condividevo questo sistema, ma sapevo di non incidere sulla salute dei consumatori». I 25 euro in più venivano quindi divisi: 15 tornavano alla cantina, 10 restavano all’agricoltore. E così, quasi un terzo degli 800 soci si sarebbe prestato al giochetto: pochi spiccioli per molti, creste di oltre un milione per altri. Nel corso di una perquisizione, in casa di Piercarla Germani, braccio destro del direttore, i forestali trovano 250 mila euro in un borsone.

Il 19 luglio 2014 arriva in Procura un esposto anonimo. Poche pagine in cui si parla di disciplinari di produzione «pilotati» per gonfiare le rese, di aziende che per anni alla cantina consegnano solo carta, di partecipazioni dei vertici di Broni in società venete e siciliane in cui figura una vecchia conoscenza della giustizia: il «re del mosto concentrato» Vincenzo Melandri, imprenditore romagnolo condannato a quasi 6 anni per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Bari, che con l’operazione «Baccus» indagava su come la mafia foggiana riusciva a riciclare denaro attraverso le aziende vinicole. Accuse rimaste estranee all’indagine appena conclusa, ma che, a Pavia, devono aver fatto saltare sulla sedia più di una toga.

L’inchiesta che ha mandato tutto all’aria si è chiusa con una lista di 297 indagati, la gran parte per semplice frode in commercio, 20 con le accuse più gravi di associazione a delinquere, truffa aggravata per ottenere contributi pubblici, emissione di fatture false, contraffazione di indicazioni geografiche dei prodotti. Una pioggia di addebiti che stanno mettendo a dura prova la credibilità di un territorio che, con i suoi 13.500 ettari vitati e 1.700 aziende agricole (moltissime estranee alla vicenda), fa del vino la sua bandiera e il suo pane quotidiano. E il lavoro della Guardia di finanza, per nulla ostacolato da un misterioso furto di pc dagli uffici della cantina, non è ancora finito: al setaccio ci sono i documenti contabili delle annate precedenti al 2010.

In molti, dal braccio destro del ministro Martina, Angelo Zucchi, fino alla Provincia di Pavia, hanno chiesto un netto segnale di rottura col passato, che però è arrivato solo a metà. Il consiglio della cantina ha annunciato le proprie dimissioni entro il 29 giugno, data delle nuove elezioni. «Troppo tardi», hanno ribattuto un centinaio di soci appena riunitisi per chiedere i danni alla dirigenza. «La vendemmia sarà ormai alle porte e forse anche i rinvii a giudizio. In che clima si voterà?».

Intanto, mentre la tempesta non accenna a placarsi, il Consorzio di Tutela Vini prova a gettare acqua sul fuoco, assicurando che una profonda riforma è alle porte: «Vogliamo modificare le rese dei vigneti in base a criteri scientifici – ha spiegato il presidente Michele Rossetti, agricoltore, anch’egli indagato nell’inchiesta come il suo predecessore – e dare più rappresentanza alle aziende di filiera».

( Fonte Corriere.it )

 

Annotazioni a margine

 

Sarebbe opportuno ed auspicabile poter leggere tutti i nomi di questi truffaldini, che per il vil denaro, vendevano ” fischi per fiaschi “, ce ne terremo debitamente alla larga !

Roberto Gatti

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.