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Il Guarnaccino nero, un nuovo antico vitigno della Basilicata

Il progetto di recupero del Comune di Chiaromonte

 

Chiaromonte è un antico centro storico, fondato probabilmente da profughi di città greche, arroccato a 794 metri d’altitudine sulla dorsale tra il fiume Sinni ed il torrente Serrapotamo, nel circondario del Lagonegrese, all’interno del Parco del Pollino. Una caratteristica del paese, raccolto sullo sperone roccioso a mo’ di anfiteatro, è la presenza lungo tutta la cinta di numerose grotte scavate nella roccia, ben distribuite a varie esposizioni di luce ed umidità e nelle quali sono conservate le riserve di vino rosso prodotto artigianalmente dai vigneti locali, uno degli elementi fondamentali della gastronomia locale.

 

Nasce in questo contesto nel 2007, su iniziativa dell’Amministrazione comunale e di alcuni giovani imprenditori, l’idea di valorizzare un vitigno che storicamente aveva caratterizzato la vitivinicoltura locale: il Guarnaccino. Con la promozione dell’Alsia Basilicata, prese allora corpo un progetto di ricerca scientifica affidata al CRA – Unità di ricerca per la viticoltura, come primo passaggio di un percorso di valorizzazione del biotipo varietale “Guarnaccino” presente sul territorio del Comune di Chiaromonte.

 

Nel corso degli esami che il CRA di Turi ha svolto tra i cloni recuperati nei vecchi vigneti della Basilicata, sono cominciati ad emergere i primi tratti di un vitigno dal profilo molecolare fino a qualche anno fa ancora sconosciuto, risultati molto interessanti sia per documentare la sua presenza in suolo lucano in tempi lontani, sia perché particolarmente idoneo alla produzione di vini naturali dal momento che il suo adattamento alla propria area consente un allevamento con minimi interventi fitosanitari.

 

Il termine Gurnaccia o Guarnaccino è ascrivibile ad uno o più vitigni coltivati in epoche remote in Campania ed in Calabria, ma l’uso meridionale di denominare con questo termine (che non risparmiava, nel beneventano del 1878, neanche il Sangiovese) varietà di viti tra loro diversissime deriva probabilmente dal suo etimo, che dal latino assume il significato di “provvedere, difendere, garantire” e quindi verosimilmente “varietà di uve rustiche che garantivano il raccolto dell’anno”. Guarnaccia-Guarnacchello, peraltro, nelle comunità rurali del territorio stava ad indicare una veste da donna ottenuta con tessuto di “accia” (filo grezzo di materiali diversi), cioè rustico.

 

In ordine storico-cronologico la prima segnalazione di un vitigno con questo nome la troviamo nell’interessante catalogo di Padre Cupani stampato a Napoli nel 1696 con il nome di “Orthus Catholicus”. Anche nel famoso “Saggio di un’ampleografia universale” del 1877, G.De Rovasenda parla della presenza, nella Sicilia del XVII secolo, di una “Guarnaccia franca” a frutto verde con macchiette scure e di una “Guarnaccia niura”, con frutto più lungo e più duro, nero. Si parla poi ancora della Guarnaccia nera in Campania in diverse fonti di epoca post-unitaria. Ma pur esistendo similarità, non c’è identità tra le Guarnacce nere campane e quelle calabresi-lucane, perché nel corso del tempo nei diversi areali meridionali si sono sviluppati biotipi o varietà nuove ed esclusive che presentano caratteri genetici, ampelografici e potenzialità enologiche tra loro diversissime.

 

Obiettivo primario della ricerca finanziata dal Comune è stata quindi la caratterizzazione varietale del Guarnaccino di Chiaromonte, a partire dalla ricognizione sul territorio dei vigneti storici esistenti. Premesso che solo ripetendo più volte tali verifiche sul campo ed integrandole con la ricerca storica è possibile dare risposte definitive, i risultati del primo anno di ricerca hanno portato alla conclusione che mentre il Guarnaccino bianco non è autoctono del chiaromontese essendo identico al Guarnaccia bianco già inserito nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Viti ed ammesso alla coltivazione nelle province di Napoli e Cosenza, diverso è il caso del Guarnaccino nero presente nel territorio in esame, da considerarsi entità varietale geneticamente nuova e per questo motivo ora iscritto nel Registro del Ministero delle Politiche Agricole.

 

Dal punto di vista storico questo ritrovamento pone nuovi interrogativi sulla circolazione dei cloni di vitis vinifera nella Regione Basilicata, vero e proprio svincolo nodale dei traffici arcaici tra Puglia, Campania e estremo Sud Italiano nel periodo della colonizzazione Greca. Dal punto di vista enologico mette in evidenza le potenzialità di un biotipo dalle apprezzabili doti vitienologiche, che in quanto a lontanissime parentele potrebbe essersi selezionato da seme di varietà bordolesi, chi sa quando e chissà come, sulle lande del territorio di Chiaromonte.

 

 

( Fonte www.terredelvino.net )