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Vino bio, purché sia buono

Ripropongo un articolo a tema ” Vino Bio “, che condivido in toto e che avrei potuto scrivere personalmente ! Infinite volte ho scritto e dichiarato ben vengano i vini biologici e/o biodinamici , ad una unica condizione imprescindibile ( per chi Vi scrive ) :

che siano esenti da difetti di sorta e che siano buoni da bere, diversamente non vale la pena comprarli e degustarli !

Buona lettura

Roberto Gatti

 

 

“Sempre più spesso, ormai, si sente parlare di vino biologico o “naturale” (come dicono alcuni, come se i vini prodotti in agricoltura convenzionale fossero innaturali). Su molte retro-etichette si leggono le varie possibili definizioni utili, dalle vere certificazioni “prodotto biologico” alle dichiarazioni dei produttori “vino da agricoltura biologica/biodinamica” o, come dicevamo prima, “vino naturale” o “prodotto da agricoltura sostenibile” e infinite altre definizioni simili. Segno che il bio “tira”.

 

Cerchiamo allora, in primo luogo, di capire l’estensione del fenomeno e le sue caratteristiche. Partiamo da una considerazione generale riguardo la superficie globale del vigneto Italia: nel 2013 (ultimi dati disponibili) il nostro Paese ha assistito all’ennesima riduzione di superfici vitate che corrisponde ad una contrazione dei consumi. Ma vediamo i vigneti certificati biologici: si tratta di 44.174 ettari cui conviene aggiungere i 23.763 ettari in conversione (prima di avere la certificazione, è necessario che il vigneto sia coltivato biologicamente per alcuni anni). Un totale di 68mila ettari circa, il che significa che circa l’11% della superficie vitata nazionale è bio o in conversione, con una crescita pari al 18% rispetto al 2012.

 

Un dato davvero significativo. In pochissimo tempo il fenomeno è esploso, soprattutto a Sud: la sola Sicilia vanta 25mila ettari bio (convertiti o in conversione), pari al 44% della superficie nazionale. Al secondo posto, ben distaccata però, troviamo la Puglia, che detiene quasi il 19% della superficie totale mentre il 15% è della Toscana, dove troviamo 8.748 ettari di vigneti bio: un bell’incremento rispetto ai 5.900 dell’anno precedente. Le restanti regioni si dividono la superficie residua. Questo per quanto riguarda gli ettari ufficialmente certificati (dati del Ministero delle Politiche Agricole), poi ci sono aziende che rispettano i dettami di un’agricoltura “sostenibile”, ma non sono certificate.

 

A cosa si deve questo boom? Da una parte c’è quella sorta di diffidenza verso una produzione ritenuta “industriale” che da sempre spinge alcuni consumatori a cercare il “vino del contadino” ritenendolo più genuino; dall’altra c’è una maggiore consapevolezza dell’impatto che i prodotti chimici usati in agricoltura hanno sulla nostra salute. Insomma, il “bio-qualcosa” attira sempre di più e gli interessi economici in gioco sono proporzionali alla confusione dei regolamenti e delle certificazioni.

 

Solo da due anni, dopo decenni di dibattiti, la Commissione Europea ha emanato un regolamento che permette di applicare anche al vino la normativa comunitaria sulla produzione biologica, su tutta la filiera, dal vigneto alla bottiglia (prima erano solo le uve a poter provenire da agricoltura biologica). Ma al di là di poter apporre il marchio biologico europeo sulla bottiglia, occorre capire se e in che modo il vino bio dà qualcosa in più. Effettivamente si trovano diversi vini che raccontano il proprio territorio rispettando la materia prima, l’ambiente da cui hanno origine e le persone che li berranno. Ma la stessa cosa si può dire anche per moltissimi vini convenzionali. Viceversa, ci sono ancora molti vini bio che, in nome di una presunta naturalità e salubrità, giustificano evidenti difetti organolettici.

 

In realtà il fenomeno bio è di grande interesse, e dovrebbe essere una scelta “filosofica” del produttore e non semplicemente un’etichetta per vendere di più e a maggior prezzo, anche se ovviamente – è bene ribadirlo con forza – il bio comporta, soprattutto nel breve termine, costi superiori di gestione colturali.

 

E’ bene però ricordare che il bio può essere un valore aggiunto solo a parità di qualità, ma non per questo si deve demonizzare il vino convenzionale, anche perché nel mondo del vino la legislazione italiana è estremamente rigorosa e molto più restrittiva di quella degli altri paesi europei e nemmeno lontanamente paragonabile, stavolta in positivo, con i paesi del nuovo mondo dove è permesso l’uso di sostanze che cambiano il profilo de gustativo del vino in maniera “pesantissima”.

 

Sicuramente la crescita dei vini bio corrisponde da parte dei consumatori ad una “voglia” di attenzione ambientale, di cura nei processi produttivi che sta sempre più interessando il comparto vitivinicolo. C’è poi la sostenibilità sociale, cioè rapporti corretti con le proprie maestranze (no al lavoro nero, niente discriminazioni di sesso o religione, ecc.), e anche quella economica. Insomma, nel bio la gente cerca un prodotto “giusto”. E tutto questo è sacrosanto, però non dobbiamo dimenticare che il vino bisogna berlo.

 

E allora dobbiamo dire: bio sì, purché sia buono.”

 

 

( Fonte lagazzettadilucca.it )