Brunello di Montalcino e Chianti spariranno ( ?? ) per effetto del caldo. E l’ulivo…

Febbraio 2007


 


Nel giro di un secolo scarso, il Brunello di Montalcino, il Chianti Classico e il Nobile di Montepulciano potrebbero diventare dei vini ‘estinti’, dato che le condizioni climatiche che oggi caratterizzano quelle zone di produzione non sussisteranno più, a quella latitudine, ma si sposteranno decisamente più a nord: potrebbe essere questo lo scenario ‘apocalittico’ che viene fuori dallo studio ‘Effetto della variabilità meteoclimatica sulla qualità dei vini’, realizzato nel 2006 dall’Università di Firenze (Simone Orlandini, Giampiero Maracchi, Marco Mancini del Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale dell’Università di Firenze; Gaetano Zipoli e Daniele Grifoni dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze).


 


Il progressivo aumento dell’effetto serra, accelerato da processi di antropizzazione sempre più aggressivi, provocherà gravi anomalie climatiche, facendo crescere, entro il 2100, la temperatura della terra da 1,8 a 4 gradi centigradi, sulla fine del secolo precedente. Lo affermano unanimemente dal World Economic Forum all’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), dall’Onu alla Consultative Group on International Agricultural Research (Cgiar), solo per fare alcuni esempi. Una tendenza verso un aumento delle temperature che, nell’ultimo secolo, ha interessato, naturalmente, anche il nostro Paese, con un aumento termico dell’ordine di 1,2 gradi centigradi (secondo la rilevazione del gruppo di Climatologia storica dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac) del Cnr di Bologna. Fra le molte conseguenze del ‘global warming’, anche il cambiamento della geografia enologica mondiale, con un progressivo innalzamento della latitudine ideale per la pratica della viticoltura, che interesserà, inevitabilmente, anche i terroir dell’eccellenza enologica toscana.


 


Paradossalmente, il fenomeno, ad oggi, si prefigura dal suo lato ‘positivo’: a partire, dagli anni Ottanta, infatti, il livello qualitativo dei vini delle tre grandi denominazioni toscane – sempre secondo lo studio realizzato nel 2006 dall’Università di Firenze – ha fatto registrare apprezzabili incrementi, non solo imputabili ai progressi della viticoltura e dell’enologia, ma anche alle particolari condizioni climatiche, soprattutto in termini di più elevata disponibilità termica). La tendenza incrementale delle temperature attualmente in atto, insieme alla riduzione delle precipitazioni, porterebbe ad un’eccessiva disponibilità termica, con gravi ripercussioni sulla disponibilità idrica, che metterebbe a rischio la compatibilità dei tre territori toscani con una soddisfacente attività vitivinicola.


 


 


Ma per il cambiamento del clima arrivano al nord le arachidi insieme a pasta e pomodoro. In Italia si sta verificando un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l’olivo che è arrivato quasi a ridosso delle Alpi mentre ai confini con la Svizzera si coltiva il sorgo e le prime arachidi sono state raccolte nella Pianura Padana dove il clima è diventato favorevole alla produzione di grandi quantità di pomodoro e di grano duro per la pasta. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare l’allarme sul rischio di estinzione per Brunello di Montalcino, Chianti Classico e Nobile di Montepulciano per effetto dei cambiamenti climatici che provocano uno migrazione delle colture tipiche della dieta mediterranea con un evidente impatto sulla competitività del Made in Italy che fonda buona parte del suo successo sul territorio e la buona cucina.


 


Si tratta di processi – continua la Coldiretti – che rappresentano una nuova sfida per l’impresa agricola che deve interpretare il cambiamento e i suoi effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio. I cambiamenti climatici in corso si manifestano infatti anche – sottolinea la Coldiretti – con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense, un maggiore rischio per gelate tardive, l’aumento dell’incidenza di infezioni fungine e dello sviluppo di insetti come le cavallette e la riduzione della riserve idriche. Una situazione che fa aumentare il rischio desertificazione come dimostra il fatto che secondo l’ultimo annuario dei dati ambientali dell’Apat le aree con sensibilità media o alta alla desertificazione coprono – precisa la Coldiretti – il 36 per cento del territorio nazionale, ma sono addirittura in una situazione di criticità circa la metà del territorio della Sardegna e della Calabria.


 


Di fronte a questi allarmi non bisogna rassegnarsi, ma servono – prosegue la Coldiretti – interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali del piano irriguo nazionale previsto dalla Finanziaria, campagne di informazione ed educazione sull’uso corretto dell’acqua, un impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni a basso fabbisogno idrico come l’arachide sperimentata dalla Coldiretti. Un impegno che va accompagnato – conclude la Coldiretti – da una maggiore decisione nel raggiungimento degli obiettivi fissati per il nostro Paese dal protocollo di Kyoto anche con lo sviluppo di alternative energetiche come i biocarburanti ottenuti dalle coltivazioni agricole, per ridurre l’impatto dei gas ad effetto serra dei combustibili fossili.