NEL PRIMO SEMESTRE L’EXPORT DELL’AGRICOLTURA A +7,8%, CHE SIGNIFICA 74 MILIONI DI EURO DI FATTURATO IN PIÙ. PER IL VINO NON SOLO GLI USA, LA GERMANIA E IL GIAPPONE ORA SI PUNTA SULL’ORIENTE
Firenze dà lavoro, apre prospettive per i giovani imprenditori, traina l’export. Il settore agro alimentare è un giacimento fondamentale per l’economia toscana. Lo dicono i dati, confermando quanto il cibo sia un elemento portante per la regione non solo dal punto di vista dell’immagine. La crescita delle vendite all’estero, nel primo semestre è stata del 7,8%, che significa 74 milioni di euro di fatturato in più sullo stesso periodo dell’anno prima. Viticoltura, olivicoltura, vivaismo sono i tre fiori all’occhiello, i tre settori che da soli assorbono circa la metà di tutto il comparto, che vale 3 miliardi di euro, cioè il 3,5% del Pil regionale. La Toscana nell’immaginario collettivo, del resto, è la terra del vino e dell’olio buono. E’ però anche la patria di 24 tra Dop e Igp, cioè di ben un decimo di tutti i prodotti riconosciuti come tipici dalla Ue, che non hanno a che fare soltanto con vite e olivo. In queste categorie, ad esempio, entrano anche la razza suina di cinta senese, il miele della Lunigiana, il pecorino, il prosciutto. Nel settore agro alimentare sono impiegate circa 66mila persone e sono quasi 700 i giovani che hanno deciso di aprire un’azienda agricola nell’ultimo anno, portando nuova linfa in un settore che per molti anni è rimasto in buona parte in mano soltanto alle vecchie generazioni. La crisi e le prospettive di crescita in questo campo spingono molti a fare la scommessa di avviare un’attività propria.
«Del resto questo è un motore di sviluppo importante, a patto che si tuteli e si garantisca in maniera forte e decisa l’utilizzo di materie prime di origine toscana — sottolinea Tulio Marcelli, presidente di Coldiretti Toscana — Fenomeni come italian sounding, contraffazioni, sofisticazioni e tarocchi vari sono una zavorra alla crescita nella nostra regione e nel nostro paese». Per questo è necessario che, soprattutto da parte dell’Unione Europea, vengano messe in pratica politiche capaci di bloccare il mercato dei falsi. Uno dei punti di forza dell’economia agro alimentare della regione resta il vino. Nel 2013 la vendemmia ha assicurato circa 2,2 milioni di ettolitri. La Toscana ha ben il 57% della produzione a denominazione controllata di tutta l’Italia, con 6 docg e 36 doc. La coltivazione della vite è praticata da 26mila aziende in circa 58mila ettari di superficie coltivata. Nel 2012 le esportazioni hanno superato i 700 milioni, cioè sono state del 6,7% più alte rispetto al 2011 (che già aveva visto un aumento del 12,2% rispetto all’anno precedente). Uno dei marchi maggiormente esportati è quello del Chianti, una denominazione tra le più vaste d’Italia che tocca le province di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Degli 800 mila ettolitri prodotti (cioè 105 milioni di bottiglie), ben il 70% viene venduto all’estero. Principalmente negli Usa, in Germania e in Giappone. «Già negli anni Quaranta — spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio del vino Chianti — quando ancora si utilizzavano i tradizionali fiaschi, spedivamo negli Stati Uniti. Adesso abbiamo molti clienti che ci fanno ordinazioni dal nord Europa. Ma i margini di crescita ci sono ancora, soprattutto in Oriente e anche senza scomodare la Cina. E per i prossimi anni una variazione al disciplinare decisa di recente ci permetterà di produrre ancora di più». Ha cambiato il disciplinare, cioè il regolamento che indica le caratteristiche che deve avere il vino per ottenere il marchio Doc o Docg, anche il consorzio del Chianti Classico. La variazione è servita a creare la nuova etichetta “Gran selezione”, assegnata a chi fa in azienda tutti i processi di vinificazione, senza taglio con altre uve, e con un invecchiamento in cantina di almeno 30 mesi. Si stima che circa il 7-10% dei 35 milioni di bottiglie di Chianti Classico potrà ottenere il nuovo marchio. Il debutto è previsto nel febbraio dell’anno prossimo, grazie alle uve vendemmiate nel 2010. Per quanto riguarda l’olio, se si prende in considerazione il 2003, le esportazioni sono praticamente raddoppiante, avvicinandosi ai 500 milioni di euro di valore. Una crescita record merito della sempre maggiore popolarità in tutto il mondo della dieta mediterranea, in cui questo alimento è uno dei più importanti. Sulle tavole dei consumatori stranieri finiscono tra l’altro tra gli 80 e i 90 mila quintali di olio tracciato e certificato (Igp e Dop). E qui salta fuori un paradosso. Si stima che nel nostro Paese vengano consumate infatti solo 3 bottiglie di olio certificato su 10, il resto finisce nei canali di esportazione. Significa che il consumatore straniero cerca più di quello italiano l’olio extravergine di qualità. I Paesi che acquistano di più l’Igp sono gli Stati Uniti, poi la Germania, il Regno Unito, il Giappone, il Canada e altri Stati europei ed extraeuropei, tra cui stanno emergendo Cina, Russia e Brasile. Secondo il Consorzio di tutela per l’olio extravergine toscano Igp, la restante parte di olio d’oliva che finisce all’estero, cioè ai 70-80 mila quintali, andrà invece a costituire la base di olio italiano non certificato. Una bottiglia ogni tre di Chianti vola negli Stati Uniti ma il vino più famoso di Toscana punta adesso a conquistare i nuovi mercati dove ha ampi margini di crescita.
( Fonte Repubblica.it )