Il vino migra sempre più vicino al cielo. Le soluzioni anti-calore degli enologi

Un Bacco dalla barba lunga e rossa da hypster, in jeans e camicia a quadri, è il dio narrante della recentissima graphic novel dal titolo “L’incredibile storia del vino”. Colori, disegni e fumetti per “il racconto di una civiltà lunga 10.000 anni”, come recita il sommario del volumone di 336 pagine edito dal Touring club, disegnato da Daniel Casanave e sceneggiato da Benoist Simmat. Da quando la vite selvatica è stata domata e regolata trasformando le liane in rami per produrre uva ad ogni fine dell’estate, non si era mai sentito parlare di problemi con il clima. Tutte le grandi civiltà hanno brindato con il vino. Ma nessuna, fino a pochi anni fa, ha dovuto affrontare le conseguenze così radicali e repentine del cambiamento climatico.

 

la tenuta sulle Ande che appartiene al colosso del lusso Lvmh Cheval des Andes

Le bollicine chiedono escursione termica, i vigneti si spostano sui mille metri e nascono vitigni resistenti alla siccità. Il libro “I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia” del “Corriere” è anche un’inchiesta sulle strategie contro il clima che cambia

Quella che si è aperta dall’inizio degli anni Duemila è una fase inedita e per certi versi sconvolgente per l’agricoltura in tutte le zone in cui si produce vino, soprattutto in Europa, dove ci sono i tre Paesi in testa alla classifica mondiale degli ettolitri, Italia, Francia e Spagna. Un susseguirsi di temperature record, di improvvisi fenomeni violenti e fuori stagione, dalle grandinate alle alluvioni, alternati a periodi di siccità.

Le domande della guida del Corriere

Fino a una decina di anni fa, ai dibattiti su questo tema, c’erano ancora esperti che invitavano alla calma, spiegavano che in fondo ci sono sempre stati momenti in cui il pianeta è stata più o meno caldo, più o meno freddo, più o meno siccitoso. Era un po’ come per l’acqua alta a Venezia: alla fine del Novecento si è capito che i giorni a mollo erano sempre maggiori. Ma gli scettici non smettevano di essere tali, come l’allora sindaco-filofoso Massimo Cacciari che si rivolgeva con sarcasmo ai pro Mose (le dighe anti alta marea) invitandoli a “mettersi gli stivali”. Anche molti produttori ed enologi erano dubbiosi sugli effetti del cambiamento climatico. Ora sono rimasti in pochi a negare il fenomeno. Per capirlo è sufficiente scorrere la guida ai “100 migliori vini e vignaioli d’Italia” del Corriere della Sera, in cui ad ogni produttore è stato chiesto come stia affrontando il fattore clima. Il risultato è stata una sorta di inedita inchiesta sulle tecniche, antiche e moderne, tradizionali e tecnologiche, che si stanno mettendo in campo.

Le tecniche per la nuova realtà

La prima è la migrazione dei vigneti, sempre più in alto, dalla pianura alla collina, dalla collina alla montagna. Il caldo ha cambiato non solo il grado alcolico, alzandolo, ma anche il gusto del vino. Chi vuole puntare sulla freschezza, si spinge verso le vette. È il caso – uno per tutti – di Cantine Ferrari, che continua a investire in vigneti sopra quota ottocento metri, all’ombra delle rocce dolomitiche, dove fino a un passato recente si portava solo il bestiame a pascolare perché a quella quota l’uva non maturava. A chi produce bollicine serve poter contare su una differenza notevole di temperature tra il giorno e la notte per ottenere la giusta acidità delle uve. Più in basso si coltivano i vigneti, più il caldo permane ventiquattro ore su ventiquattro. Così si produce vino sempre più vicino al cielo. Ad esempio sulle Ande, dove ha una tenuta, Cheval des Andes, anche il colosso del lusso Lvmh. Le vigne sulle Ande arrivano fino a 1.600 metri. Sull’Etna, tra i resti delle colate laviche, l’uva svetta oltre i mille metri, la quota massima stabilita dal disciplinare di produzione. Tra gli impianti più alti ci sono quelli di Cottanera della famiglia Cambria. In Val d’Aosta la famiglia Charrère di Les Cretes punta “a vigneti sopra i 900 metri”.

 

Dove i gradi “fanno comodo”

La prima vera inchiesta sul cambiamento climatico e il vino è stata pubblicata dal New York Times nel 2003, scritta da Eric Asimov. Cinque anni fa ha ristudiato il fenomeno, attestando che per alcune zone del mondo, il clima più caldo è stato positivo: in Gran Bretagna (in Kent, Sussex, Hampshire, Dorset e Cornovaglia) ora si producono bollicine un tempo impensabili. E certi vini del Nord Italia che avevano bisogno di essere “tagliati” con vini del Sud per diventare più robusti (accadeva più di mezzo secolo fa) ora sono devono essere dosati nella potenza per effetto del sole. Così cambiano anche esposizione e orientamenti dei filari. Sergio Zingarelli di Rocca delle Macìe, fondata dal padre Italo, il produttore dei film della coppia Bud Spencer e Terence Hill nella saga di Trinità, «sta rivalutando il lato Nord per una maggiore freschezza e rivedendo gli orientamenti est/ovest per una minore esposizione dei grappoli al sole». Si sperimentano nuovi vitigni resistenti alla siccità, si usano droni e intelligenza artificiale per monitorare temperature e necessità di trattamenti e irrigazione.

La forza del sole e delle foglie

La migrazione delle vigne verso il cielo non è l’unico rimedio ai colpi di calore. Cambia il modo di farle crescere. «Adottiamo sfogliature limitate per prevenire le scottature, diradamenti mirati e portinnesti più resilienti», spiegano Nadia Cogno e il marito Valter Fissore della cantina barolista Cogno. Poco distante Maurizio e Paolo di Fratelli Giacosa, raccontano che per il loro Barbaresco «la forza del sole ci ha costretti a potare meno, lasciando più foglie per coprire i grappoli, così da evitare scottature». Tecniche e accorgimenti per far continuare la storia millenaria del vino e rassicurare anche la versione hypster di Bacco.

( Fonte Corriere.it )