La storia, o forse la leggenda, la conosciamo tutti: siamo nella seconda metà del ‘600, in un’abbazia nel cuore di una piccola regione al nord della Francia, alle prese con gli esperimenti -e con gli errori – dell’abate benedettino Dom Pierre Pérignon. È l’inizio di un vero e proprio mito, quello dello champagne: una moda che attraversa indenne le epoche, lo status symbol enologico per eccellenza, il lusso fatto vino.
Nobili, cortigiane e ricchi borghesi hanno sempre ceduto al suo fascino. Lo hanno studiato, cercato e amato appassionati degustatori ed esperti collezionisti. Lo ostentano “nuovi ricchi” e parvenu di ogni latitudine. Del resto non è solo, semplice vino: ha ricoperto e tutt’oggi porta con sé innumerevoli significati simbolici, insieme a una ritualità laica e decisamente teatrale. Dal classico “Sabrage” all’immancabile varo della nave, non c’è inaugurazione, premiazione sportiva, festa comandata o party esclusivo che non richiedano corpose docce di spuma!
Sarà merito delle bollicine (pardon, del “perlage”!), che dopo diversi bicchieri rendono scioltissimi e brillanti, senza fastidiosi effetti collaterali (facce da Picasso, conversazione biascicata, etc.) Sarà che parla francese, e conferisce a chi ordina un “pas dosé”, disserta di “liqueur de tirage” e predilige un “millesimé” (azioni da compiersi con ricercata e assoluta noncuranza), quel “je ne sais quoi” così intrigante. Sarà che in genere piace alle signore, quindi lo si è utilizzato per conquistarle in tempi in cui non si aveva troppa scelta.
Persino i bicchieri in cui si beve alimentano miti e narrazioni, seguendo i luoghi e i simboli (femminili stavolta) del potere. Così nella Versailles del ‘700 si utilizzavano le coppe modellate sul seno di
In tempi moderni il suo volto prezioso è stato esasperato da trovate di marketing piuttosto appariscenti e di dubbio gusto: vi basti pensare a Magnum e Jereboam rivestite in oro 24K e decorate a mano, con tanto di diamante incastonato, disponibili al prezzo di un bilocale in centro a Milano. Veri gioielli da bere, o da conservare gelosamente (in cassaforte più che in cantina).
Quel che è certo è che lo champagne è una vera e propria star enologica: simbolo di lusso ed esclusività, nasconde un’anima “pop” che lo rende perfetto persino sul tavolo di un privée, ed è la più riuscita dimostrazione di come si possa costruire uno storytelling di grande fascino intorno al vino.
Ma se venisse spogliato delle sue ammalianti vesti, se venisse dimenticato il suo racconto e cancellato l’apparato rituale che lo circonda, sarebbe ancora così amato? Quanti suoi fans sarebbero davvero in grado di apprezzare il “gusto nudo” dello champagne? Quanti saprebbero realmente coglierne peculiarità e sfumature?
Riporto come parziale risposta il risultato di un’interessante ricerca (non recentissima, del 2013) condotta da un’agenzia britannica sul cambiamento delle abitudini di consumo e spesa nel Regno Unito in tempi di crisi, con relativo approfondimento sul vino (la mia fonte è questo articolo di Intravino ).
Poiché le vendite di prosecco in Uk sono in impennata costante dal 2012 ed hanno a oggi superato quelle di champagne, è stata chiesta ai consumatori inglesi la ragione di questa passione per le bollicine italiane. Ebbene un terzo degli intervistati ha dichiarato di non trovare grandi differenze tra champagne e prosecco, indipendentemente dal prezzo!
Certo non si tratterà dei più fini palati in circolazione, né il raffronto sarà stato fatto con gli champagne più pregiati. Ma quanti di noi, protetti dall’anonimato e in assoluta sincerità, sarebbero d’accordo con gli inglesi?
( Fonte huffingtonpost.it )