Molla il marchio di famiglia per produrre i suoi vini a Montalcino con la figlia
La storia di Giovanna Neri e delle sue bottiglie di Col di Lamo: ecco come sono nati i suoi vini liberi e caparbi dalla campagna di Montalcino
Sull’ingresso della cantina campeggia il monito di Antoine De Saint-Exupéry, l’autore de Il Piccolo Principe: “Fai della tua vita un sogno e di un sogno una realtà”. E questa ispirazione onirica, a tratti fanciullesca, Giovanna Neri l’ha estesa anche alle battaglie più dure della vita, “cercando sempre di correre dietro alle passioni invece che al denaro”.
La storia di Giovanna Neri e della sua azienda, Col di Lamo

Di fiato e di energia ne ha spesi parecchi, “anche di lacrime: a tratti non è stato semplice, ma non mi sono mai lamentata”. Oggi il successo la premia e il serbatoio sembra ancor pieno di entusiasmo e di gioia, di coraggio, come lo sono i vini della sua Col di Lamo, “Un omaggio alle donne, alla leggerezza che si portano dentro. Alla determinazione e alla tenacia, donne pure loro”.
Ascesa del Brunello (e dell’azienda di famiglia)

La sua base operativa è avvistabile percorrendo la strada regionale da San Quirico verso Buonconvento, vicino all’abitato di Torrenieri, a due passi da Montalcino: una campagna bellissima, perlopiù vitata, nel cuore della Toscana del sangiovese più buono e fortunato, che dà luce al celeberrimo Brunello di Montalcino. Giovanna Neri è nata a Montevarchi e arrivò qua grazie al padre Giovanni, “commerciante di semi che nel 1971 vi acquistò un podere vitato coi suoi annessi. Per noi figli divenne il posto dell’estate, dei fine settimana”, finché non si trasferirono a Siena, anche per studiare.

L’azienda vitivinicola crebbe e ben presto risucchiò le forze dei genitori come del fratello maggiore, Giacomo, fino a divenire la Casanova di Neri conosciuta in tutto il mondo. “Furono anni di grande crescita per il Brunello, già decollato negli ‘80 grazie al lavoro di Franco Biondi Santi. Nei ‘90 il numero di aziende aumentò molto, specie con marchi come Banfi che aprirono al mercato internazionale”.
Una cambiale per comprare il trattore
Lei studiò giurisprudenza, si laureò con 110, il padre la immaginava impiegata in banca ma non era il suo posto, “piuttosto lavorai per l’università, poi come docente, senza tirarmi indietro quando in azienda c’era bisogno di una mano”. La svolta ci fu proprio con la morte del padre, che stravolse gli equilibri, Giovanna era già sposata e madre di Diletta: lasciò il marito, lasciò Casanova di Neri, ereditò una piccola porzione di vigneti da cui avrebbe cominciato a edificare il suo sogno.

“Inizialmente ebbi da penare, altroché, vendevo le uve ai produttori di Montalcino come unico sostentamento. Mia figlia era piccola, furono anni molto duri”. Nel 2000 firmò la prima cambiale agricola e comprò un trattore. Tre anni più tardi ritrovò il sorriso esordendo col marchio Col di Lamo, “nome che ho scelto io, rinunciando a quello di famiglia. Non volevo sfruttare la fama di nessuno e cercavo uno stile mio, vini che piacessero innanzitutto a me”.
Dal capannone in lamiera alla cantina moderna
Iniziò a vinificare nella cantina di un’amica, quindi in un fienile, poi in un capannone in lamiera. Ai tempi sarebbe sembrata un miraggio la nuova, bellissima struttura inaugurata nel 2015 (“ancora ringrazio la banca che ha creduto al mio progetto”) a unire design e funzionalità, perfettamente integrata nel paesaggio “e organizzata seguendo il ciclo di produzione del vino, attorno alla corte interna che rimanda alle fattorie toscane”. Oggi sono quasi 10 gli ettari vitati, 30.000 le bottiglie prodotte in certificazione biologica, cinque etichette diverse, tra cui la selezione speciale, A Diletta, che (come la riserva) esce solo nelle migliori annate: “Piuttosto che dedicarla a un avo ho voluto omaggiare la figlia che mi ha visto cadere ma anche rialzarmi, rinascere”.
Il supporto della figlia Diletta, che oggi fa vino con la mamma

Diletta, “colta e intraprendente, appassionata”, oggi è a sua volta madre ed è pian piano entrata con testa e cuore in Col Di Lamo. “Spero rappresenti il futuro dell’azienda e nel frattempo ci dividiamo i compiti: lei si occupa della parte commerciale, così che io possa dedicarmi a vigna e cantina, ritornare alla terra”. Ama i vini fini ed eleganti, Diletta, ma è proprio questo il tratto distintivo di tutta la produzione, fiera espressione di una terra calda e argillosa, generosa nella sua essenza; calici solari, godibili e genuini, dall’indole schiva e poco incline alle passerelle, proprio come Giovanna. “Non possiamo mostrarci a lungo diversi da ciò che siamo per natura, neppure in questa società dell’apparire”. Vini che sono un esempio, dunque, ma che più che altro sono buoni ma proprio buoni da bere, in gioventù come nell’invecchiamento, dalla prima all’ultimissima goccia.
( Fonte CiboToday.it )