Da Camarina sino a Catania, 4.000 anni di storia nell’abbandono più totale, a discapito delle leggi sull’enoturismo
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Chiunque si trovasse con la propria auto a transitare per le campagne di Caltagirone, passando per le numerose strade ricche di buche sull’asfalto e povere di illuminazione, sicuramente noterebbe la presenza di alcuni rigogliosi vigneti. Sono strade di scomoda percorrenza, che si arrampicano su colline e che sembrano non finire mai. Nessuno potrebbe mai immaginare di trovarsi a percorrere la strada del vino più antica d’Europa. La “Guida al turismo del vino in Italia”, edita dal Touring Club Italiano nel 1999, la definisce “strada dei due mari” e riportando le dichiarazioni dello studioso Salvatore Cosentino afferma: “è un itinerario storico, che ricalca una plurimillenaria via di commerci enoici tra Catania e Camarina, punti di sbocco a mare, rispettivamente sullo Ionio e sul mare di Sicilia, delle produzioni dell’entroterra isolano”.
Un convegno, promosso dall’associazione culturale l’Elefantino, presieduta da Stefania Bonifacio, ha creato l’occasione giusta per fare un viaggio nella Sicilia di 4.000 anni fa insieme a Salvatore Cosentino che, da autore di numerose pubblicazioni racconta: «Trent’anni fa, una missione archeologica americana della Princetown University, formata da Victor Siocqvist (consigliere del re Gustavo di Svezia), da Hubert Hallen e da Malcom Beel, venne in Sicilia a Sella di Orlando (Aidone, in provincia di Enna), per studiare un sito archeologico importante, ma non bene identificato: scoprirono così che si trattava dell’antichissima Morgantina (o Herbita, per altri studiosi). Durante quei giorni, nel mio studio a Mirabella, la sera avvenivano riunioni di discussione; fu così che Hubert Hallen mi chiese: «Io non capisco perché i popoli antichi, anziché attraversare la Piana di Gela o la Piana di Catania (i “Geloi” raggiungevano i “Leontinoi”), prendevano la strada collinare passando per Niscemi, Lentini, Caltagirone, per poi arrivare nella città etnea». Era infatti una strada difficile, che si snodava tra boschi e coltivazioni; a quel punto ho risposto che le due piane di Catania e di Gela erano acquitrini veri e propri e che a quei tempi le zone collinari, invece, erano ricche di vigneti e oliveti; le antiche popolazioni compravano i recipienti del vino, del miele e dell’olio a Caltagirone, perché quelli erano i luoghi di produzione. Ho iniziato una serie di studi e grazie agli opportuni riscontri ho potuto ricostruire come quella in questione sia la più antica strada del vino dell’Europa, con almeno 4.000 anni di storia. Per questo motivo sorrido, quando sento dire che il Piemonte ha festeggiato i 25 anni delle sue strade del vino!».
Lo storico continua: «A tal proposito, il museo archeologico di Camarina contiene numerose anfore vinarie, lo stesso dicasi per il suo vicino porto: entrando da lì, il vino prodotto nelle località di Acate, Vittoria, Caltagirone e anche dell’Etna, veniva raccolto nelle anfore e poi commercializzato in tutto il Mediterraneo. Il vitigno “Murgentia” (che è il padre dell’attuale “Nero d’Avola” e del “Cerasuolo”) era conosciuto in tutte le regie del Mediterraneo, come racconta anche Plinio il vecchio».
Ma allora, esiste o no qualche possibilità per la valorizzazione di questi luoghi attualmente lasciati a se stessi?
Andiamo un po’ indietro, fino al 1999, anno dell’emanazione della legge n. 268 (pubblicata nella G.U. n.185 del 9 agosto 1999), il cui art. 1, primo comma recita: “L’obiettivo della presente legge consiste nella valorizzazione dei territori a vocazione vinicola, con particolare riferimento ai luoghi delle produzioni qualitative di cui alla legge 10 febbraio 1992, n. 164, e successive modificazioni, anche attraverso la realizzazione delle “strade del vino”. Ma cosa sarebbero queste strade del vino di cui parla la legge? Il secondo comma dello stesso art. 1 lo spiega: “Le “strade del vino” sono percorsi segnalati e pubblicizzati con appositi cartelli, lungo i quali insistono valori naturali, culturali e ambientali, vigneti e cantine di aziende agricole singole o associate aperte al pubblico; esse costituiscono strumento attraverso il quale i territori vinicoli e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta turistica”.
Sarebbe deluso Plinio il Vecchio, se sapesse che niente di tutto questo è stato fatto nei luoghi da lui descritti.
( Fonte Quotidiano di Sicilia )