Ripropongo questa interessante ” intervista/chiacchierata ” con il Prof. Luigi Moio dell’Università di Napoli, che ci farà capire, a suo avviso, cosa deve significare per tutti noi il vino.
Buona lettura
Roberto Gatti
Luigi Moio, il professore e la passione di una vita L’ebbrezza, la commozione e il rito della degustazione
NAPOLI – «Il vino è come una scultura, materia trasfigurata – racconta il professore di Enologia all’Università degli Studi di Napoli, Luigi Moio – L’enologo è l’artista che incide conoscendo già l’approdo».
Cos’è il vino dal punto di vista scientifico? «È il risultato della fermentazione alcolica del succo d’uva, altrimenti privo di alcol. Naturalmente, durante la fermentazione, oltre all’alcol, si generano altri “magici” elementi che rendono affascinante il prodotto: aromi, componenti dolci, acidi, sapidi e così via».
Cos’è invece al di là del punto di vista scientifico? «È un’opera d’arte e la degustazione è necessaria per svelarne l’essenza. È un opera d’arte perché il vino nasce dal mosto come una statua nasce dalla pietra. È una sorta di trasfigurazione della materia prima».
Chi è l’enologo? «È l’artista, colui che scava nella pietra, avendo già in mente il risultato finale. Ovviamente per fare questo deve possedere solide basi scientifiche. Deve avere il controllo dell’intera filiera, attraverso il possesso di cognizioni più varie, dalla conoscenza del suolo alla fisiologia dell’uva, dai processi biochimici alla base della trasformazione dell’uva in vino al marketing».
Eterna questione: Francia o Italia? «Sono i principali produttori del pianeta. In Francia e in Italia il vino è profondamente legato alla storia nazionale. In realtà queste unioni sono diverse. I Francesi hanno la fortuna di disporre di vitigni dai quali è possibile ottenere vini con forte identità sensoriale. Questo presupposto ha reso più facile la comunicazione dei vini d’Oltralpe, sicché è stato anche più facile per i consumatori riconoscerne l’essenza. I francesi sono stati molto bravi a ricondurre i vini alla vigna che li ha generati, introducendo il concetto di terroir, un’insostituibile parola francese che spiega con grande efficacia quanto l’uva sia il risultato dell’interazione tra l’ambiente che circonda ogni singola vite, la pianta stessa e il lavoro dell’uomo. L’Italia, invece, si è avviata verso questo tipo di impostazione con leggero ritardo rispetto ai francesi. L’altro nostro problema è che la maggior parte dei vitigni autoctoni italiani non ha una precisa, evidente, identità sensoriale. È stato dunque più difficile per noi far memorizzare ai consumatori le caratteristiche di questi vini. Anche se la nostra Campania rispetto a tutte le altre regioni italiane ha una marcia in più per la spiccata peronalità dei tre vitigni bianchi “maggiori”, cioè falanghina, fiano e greco, sia del vitigno rosso “principe” cioè l’aglianico».
Professore cos’è per lei l’ebbrezza? «È la vita. Storicamente il vino è la bevanda sociale più importante che sia mai stata inventata».
Da una quindicina di anni a questa parte il vino è diventato un argomento alla moda, di cui tutti si sentono in grado di poter parlare. Qual è la più grande sciocchezza che ha sentito dire? «Quando nel descrivere un vino con evidenti difetti sensoriali si cerca di ricondurre i difetti stessi alla territorialità del prodotto. Che bestialità. Fino a pochi anni fa reagivo per cercare di dimostrarne l’infondatezza scientifica. Oggi, purtroppo, ascolto amareggiato e rassegnato».
Qual è il momento topico del rito della degustazione? «La degustazione è essenzialmente concentrazione, isolamento e fusione totale col vino cercando con grande umiltà di scomporne le principali componenti sensoriali per capirlo».
Si è mai commosso, bevendo un vino? «Sì, mi commuovo davanti alla storia di alcune grandi bottiglie addirittura prima di averle stappate».
Quando una bottiglia si può definire grande? «Quando è la fusione perfetta tra scienza e poesia, tra il misurabile e l’imponderabile. Quando esprime una perfetta architettura cromatica, olfattiva e gustativa. E tanta eleganza. Un grande vino è essenzialmente bello».
Oltre all’estetica esiste anche l’etica del vino? «Certo. L’etica è fondamentale per produrre un grande vino. Produrre un grande vino è infatti un progetto totalizzante che va al di là della produzione in senso stretto. Richiede grande rigore, grande senso morale, grande verità, grande purezza umana, soprattutto grande rispetto per l’ambiente».
L’acqua è la negazione del vino? «No, nel vino c’è quasi l’ottantacinque per cento di acqua. Non dimentichiamo che l’alcol comunque genera gravi danni all’umanità. Non bisogna perciò avvicinarsi al vino per dissetarsi. Il vino è fatto per il godimento. L’acqua dunque è complementare rispetto al vino».
Con chi condivide il piacere di un grande vino? «È necessario condividerlo con chi ha voglia di apprenderlo in una sorta di un rito di iniziazione. Naturalmente è immensamente gratificante condividerlo con amici che hanno la tua stessa passione».
Una vita basta a comprendere l’essenza del vino? «No, assolutamente no. Nel mio caso personale ho il privilegio di condurre ricerche avanzate. E col tempo mi accorgo che più cose sveliamo, più si allarga l’orizzonte del dubbio. È come se il dubbio abitasse in me».
( Fonte corrieredelmezzogiorno.corriere.it )
Quando ho individuato il titolo e a seguire la persona intervistata,
mi sono precipitato a sfogliare la lettura di tutte le domande con le relative risposte.Il nome della persona è lo specchio dell’enologia vitivinicola non solo nazionale ma lo definisco mondiale !! Persona umana, Professore preparato, uomo di ricerca, figura disponibile e aperta, sa di viticoltura, di massima e aperta esperienza enologica,disponibile al dialogo………..Io oggi ho 60 anni e mi ricorda e veri professori degli anni 60/70 uomini che ti preparavano alla vita !!!!!! GRAZIE MAESTRO PER QUANTO HAI FATTO E CONTINUERAI A FARE IN QUESTO NOSTRO FANTASTICO MONDO CHE RAPPRESENTIAMO: IL VINO !!