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Massimo Comun Denominatore Alcolico

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La ricerca dello sballo tramite sbronza non è certo un problema solo contemporaneo.

Greci, Macedoni e Romani erano famosi per i loro banchetti tutto vino e orge.

Oggi come allora l’alcool mantiene la stessa valenza: anestetico per i brutti pensieri della vita e grande collante sociale. Chi, in gruppo, non si è fatto trasportare dalle risate, dal buonumore, dalla ridicolaggine verso quel bicchierino in più? La stessa casistica del tipo di ubriaco è piuttosto eterogenea e ispira racconti epici: abbiamo il filosofo della vita, l’affettuoso, il viperoso, l’idiota e il derelitto.

Si ride, ci si scarica, si è giovani…

 

 

A rovinare il quadro, oltre alle spiacevole conseguenze olfattive che certe volte possono generarsi, è come sempre la mancanza di una regola.

L’obiettivo della serata, sempre e comunque, diventa la sbronza. Si lavora, poi il miglior passatempo sarà sempre quello.

 

 

Sbronzarsi è diventato fattore sociale, sbronzarsi fa gruppo e chi non se la sente viene sempre più tagliato fuori. D’altronde è lecito e ragionevole che come alcune persone godano nello spendere grandi cifre per poi vomitare copiosamente, ci sia chi non trovi nulla di affascinante nello star male.

Il problema è che l’alcool diventa un fattore discriminante nell’ambito dell’amicizia. Non importa l’essere amici da una vita: se ci si ritrova astemi in gruppo di bevitori si rischia l’emarginazione. Non per cattiveria, ma per naturale corso degli eventi.

 

Possibili soluzioni? Omologarsi, oppure scegliere di restare spettatore passivo di esilaranti teatrini.

Diremo per correttezza che il discorso dipende in larga parte da come una persona cresce, e ogni persona cresce in modo diverso e con interessi diversi. Non faremo della variabilità una colpa.

Quel che accade è il perdersi di alcuni valori ritenuti tipici per una buona amicizia: sostegno, aiuto, attenzione, fratellanza.

 

La serata gaiarda ci fa dimenticare che non tutte le cose della vita si posso sciacquare con una 9°.

Dietro all’amico, al bevitore, c’è una persona, magari con i suoi problemi e che non vuole assillare gli altri. Magari c’è qualcuno sempre disposto ad aiutare che però si vede chiuse delle porte in faccia perché bere è molto più diretto e piacevole che stare ad ascoltare. Non stiamo parlando di passare serate in un noioso intellettualismo, ma di esserci per le cose che contano.

Tutto invece si destruttura, naturalmente, come l’acqua erode le rocce.

 

I sentimenti da ambo le parti diventano contrastanti, ci si sentirà incompresi, ci si arrabbierà, partiranno le malelingue di insoddisfazione.

Non importa più quanto una persona sia creativa, impegnata, onesta, accidiosa o vile: l’alcool dà un colpo di spugna e livella quasi ogni cosa.

La domanda a questo punto è: forse il bello può essere proprio il non livellarsi? Il mantenersi solido, il prendere atto che per certe persone si è arrivati a valere meno di un boccale da una pinta?

Destino dell’emarginato che vuole bene alle persone che conosceva sarà quello di un frustrato, più o meno lamentoso, e quindi doppiamente emarginabile.

Il trucco, senza dubbio difficile, è ristrutturare la propria vita, e lasciar scorrere ciò che fu nello stesso, identico e naturale modo, distrutto.

 

Di Black Feather

 

 

( Fonte www.mentecritica.net )

 

 

Annotazioni a margine

Chi Vi scrive è a stretto contatto con l’alcol da molti anni, qualche eccesso se vi è stato risale a tanti anni fa, quando l’ approccio al vino era da semplice consumatore. Da quando invece il mio rapporto con il vino è diventato professionale, non ho MAI registrato abusi ed eccessi, perchè il bere consapevole, tecnico ed approfondito porta ad una ricerca del piacere edonistico della bevanda e non piu’ ad una assunzione di quantità, inutile e dannosa.

RG