Ho ricevuto un Cd contenente questo articolo del prof. Attilio Scienza, docente di viticoltura all Universit di Milano, inviatomi da un produttore di Valdobbiadene, che con costanza e passione, si aggirato tra i dolci pendii delle colline di Conegliano- Valdobbiadene per raccogliere 5.800 kg di uve prosecco presso antichi vigneti di 80/100 anni, di propriet di 20 suoi amici e colleghi. Prossimamente, dopo avere degustato le due bottiglie di prosecco prodotte con queste uve, ve ne riporter le mie impressioni di degustazione. Intanto buona lettura con questo interessante spunto del prof. Scienza.
Roberto Gatti
La vite tra le piante arboree da frutto quella che presenta la maggiore longevit. Per questa sua caratteristica, oggi trascurata nella viticoltura moderna, si ricordano nella sua storia prefillosserica numerosi esempi di piante di vite di et ragguardevole (anche 445 anni per una vite presente attorno agli anni 20 nei pressi di una casa, nel novarese) e di dimensioni altrettanto insolite per una sarmentosa, se si pensa che nella Georgia caucasica le porte di alcune chiese sono fatte con i tronchi di vite.Normalmente le piante che raggiungono et e dimensioni elevate sono rappresentate di norma da individui isolati, coltivati in cortili, chiostri o vicino alle case per costituire delle pergole e quindi godono di cure e di condizioni alimentari particolari.
Ma anche per viti coltivate in vigneto si ricordano alcuni casi eclatanti quale ad esempio quello di Clos de Vougeot, in Borgogna, dove nella parte alta della vigna, le piante di Pinot nero avevano, prima della Rivoluzione Francese, 400-500 anni. Questo vigneto non veniva rinnovato perch il vino che produceva veniva venduto il doppio di quello della parte pi bassa, che aveva un et molto minore.
Scriveva Alberto Magno a proposito del valore delle viti vecchie : Vitis etiam provectioris aetatis facit uvas meliores et melius vinum, sed facit uvas pauciores proporzione suae quantitatis quam juvenis.
Nella viticoltura delle colline di Valdobbiadene, che malgrado attesti radici celte ed etrusche, la presenza documentata del vitigno Prosecco abbastanza recente in quanto si situa attorno alla fine del 1700, molto pi tardi delle citazioni di Marzemino, Pignolo o Bianchetta .
Un vitigno peraltro che era coltivato anche nei colli Euganei e sui colli Berici e che proveniva con molta probabilit dai dintorni di Trieste dal quale si otteneva un vino famoso per i Romani, chiamato Pucino. Il suo nome era Glera e come era prassi consolidata prima dellarrivo della fillossera, era coltivato assieme ad altre variet come Verdiso, Boschera, Bianchetta ed altre ancora, in vigneti che assomigliavano pi a prati vitati che non a successioni di filari ordinati come siamo abituati a vederli oggi.
Non era una variet ma piuttosto una famiglia varietale costituita da alcuni biotipi che venivano distinti tra loro per le caratteristiche del grappolo (Prosecco lungo normale e Segat, Prosecco tondo normale o Balbi) e che sono in realt due vitigni geneticamente distinti a testimonianza di antiche consuetudini di moltiplicazione per seme.
Lallevamento del bestiame era allora, come lo stato fino a qualche lustro fa, lattivit prevalente di quelle zone, almeno di quelle pi vicine alla pianura. Una viticoltura, quella prefillosserica, che i francesi chiamavano en foule, disordinata, perch non si procedeva al reimpianto del vigneto su un appezzamento di terra dopo averlo integralmente spiantato, ma si sostituivano le piante che via via morivano dopo aver scavato una trincea nella quale veniva interrato un tralcio delle vite vicina (la propaggine).
Il filare non aveva n una direzione costante, n un orientamento, si curava solo che fosse trasversale alla pendenza per evitare le frane. Per le caratteristiche del suolo delle colline valdobbiadenesi costituite da calcari marnosi e da conglomerati, spesso molto duri, la preparazione manuale delle fosse d impianto era talvolta difficoltosa, per cui si evitavano le parti di suolo pi resistenti alla zappa e si sceglievano avvallamenti o fessure, anche perch spesso le viti, almeno fino alla met del secolo scorso, erano piantate assieme a tutori vivi, antico retaggio della Grande Liguria, quali lacero campestre, il frassino ed il gelso. Per questo motivo le distanze tra i filari erano da 30 metri a 4-5 metri .Il regime delle piogge elevato e ben distribuito nel corso dellanno e la forma dallevamento molto espansa, consentivano un grande sviluppo alle viti assecondato anche dalla non lavorazione dei suoli che favoriva lo sviluppo di radici superficiali e molto attive.
Questo modello viticolo che era molto diffuso in Italia fino alla grande trasformazione della nostra agricoltura avvenuta attorno agli anni 60, ormai praticamente confinato ad alcuni areali viticoli marginali, anche se strutturalmente molto rimaneggiato, quali le ultime bellussere della pianura trevigiana, i vigneti a raggi della pianura reggiana, le alberate a tutore morto di Taurasi e le alberate con i pioppi di Aversa. Mentre nella viticoltura italiana let media dei vigneti continua a diminuire, a causa di tecniche colturali intensive ed avversit patologiche di varia natura, in questi vigneti dove le viti assumono dimensioni considerevoli, non raro incontrare piante di 70-80 anni det ed in particolari condizioni pedologiche (es.terreni molto sabbiosi) let pu raggiungere i 150-200 anni e limpianto essere precedente allarrivo della fillossera. Alcune caratteristiche sembrano essere comuni a questi singolari vigneti : lo sviluppo considerevole delle viti, reso possibile dalle ampie distanze tra le piante che consente unampia esplorazione radicale ed un apparato fogliare esuberante, molto pi alto di quello che richiederebbe la normale produzione di uva, terreni fertili o comunque ricchi di sostanza organica, una buona piovosit naturale, limpiego di portinnesti con sangue di Rupestris du Lot e vitigni dotati di un vigore e di una vitalit particolari. Naturalmente questi vigneti sono altamente disetanei e solo poche delle piante che sono in essi presenti superano la soglia dei 50-70 anni. Ci si chiede allora perch queste piante sono sopravvissute mentre le altre sono morte ? Succede un po come per gli uomini. Gli ultra novantenni sono in genere persone che hanno dovuto superare molte prove fisiche, hanno acquisito una filosofia di vita che allontanava gli stress, hanno evitato gli eccessi di ogni tipo, hanno un patrimonio genetico stabile. Analogamente le viti pi vecchie hanno trovato un terreno particolarmente profondo, senza eccessi di acqua n carenze nella rizosfera, una buona affinit dinnesto sia anatomica che fisiologica, non portavano con se il rischio latente delle virosi. Sono state allevate dal viticoltore senza forzature. Oltre a fornire i vini migliori, come indicano molti proverbi popolari, appunto per lelevata disponibilit di riserve accumulate nel legno vecchio e nelle radici e per una ridotta capacit di differenziazione a fiore che ne limita naturalmente la produzione, queste piante, veri patriarchi della nostra viticoltura, hanno altre doti che potrebbero essere sfruttate per migliorare la qualit dei nuovi vigneti. Infatti le viti vecchie, anche se apparentemente mal ridotte per il loro tronco fessurato e cariato, possiedono alcune caratteristiche genetiche che possono essere trasmesse alle giovani piante che derivano dalla loro moltiplicazione.
Ad esempio la tolleranza ad alcuni virus i quali entrano nel DNA della vite alterandolo e provocando gravi alterazioni morfologiche e metaboliche. In alcuni individui invece, le sequenze geniche portate dal virus possono aver indotto una forma di resistenza e questa strozzatura evolutiva avrebbe portato alla creazione di piante particolarmente longeve. Pi interessante anche se ancora poco studiata la possibilit di utilizzare queste piante per quella che viene chiamata la loro memoria genetica, correlata alla trasmissione del codice epigenetico, quel meccanismo che regola lattivit genica senza modificare le sequenze del DNA nel corso delle generazioni consentendo cos lespressione dei geni in modo regolare, senza eventi di mutazione che di norma alterano i comportamenti morfologici e fisiologici delle piante sia in senso negativo che positivo (aumento della variabilit). Queste piante raccolte in un vigneto-collezione potrebbero rappresentare oltre che una fonte preziosa di variabilit da utilizzare per la creazione di piante di Prosecco che associano caratteristiche di qualit a tolleranza ai virus, anche un materiale di studio per ricerche di biologia molecolare.
Attilio Scienza