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Guerra al glifosato

L’Europa ne permette l’uso per i prossimi cinque anni, ma ambientalisti e cittadini temono gli effetti nocivi. Tra regolamenti e sanzioni la battaglia degli agricoltori

 

 

 

VENETO

 

Erbicidi banditi. La svolta green del Prosecco

 

Scacco matto agli erbicidi chimici. Dopo la svolta green del Prosecco Doc, che ha messo al bando Mancozeb, folpet e glifosato nel Vademecum viticolo 2017, ora a correre al riparo sono anche i quindici sindaci del territorio Docg che hanno annunciato il divieto d’uso del glifosato da gennaio 2019. Una rivoluzione chiesta a più riprese dai comitati dei residenti e dagli ambientalisti, questi ultimi ancora scettici: ora nel mirino ci sono le deroghe ai regolamenti.

 

 

 

«Abbiamo deciso di puntare sulla crescita sostenibile del territorio – spiega Fabio Chies, primo cittadino di Conegliano – per questa ragione l’adozione Regolamento intercomunale di Polizia Rurale sull’uso degli erbicidi rappresenta un passo in avanti verso la tutela della salute e l’attrattiva turistica». In ballo c’è molto di più della promozione del territorio: c’è la candidatura per un posto nella vetrina dei siti tutelati dall’Unesco. «Il dibattito sulla nocività del glifosato è aperto – spiega Diego Tomasi, direttore del Consiglio per la ricerca per la viticoltura -. La Comunità europea ha previsto una proroga di cinque anni, ma ora a spingere verso la messa al bando sono anche i consumatori». La tecnologia negli ultimi anni ha permesso di ridurne l’uso, introducendo nuovi macchinari. «Pirodiserbo e idrodiserbo rappresentano – prosegue Tomasi – una possibilità per gli agricoltori di pianura, anche se rimane da capire quanto sia nocivo lavorare la terra sotto i filari. Bisogna trovare un compromesso tra le attrezzature proposte per non disturbare il sottosuolo e la riduzione della sostanza organica». In collina, nell’area Docg (7.5mila ettari), dove l’uva viene vendemmiata a mano, utilizzare quei macchinari per estirpare l’erba non è però quasi mai possibile proprio per la morfologia del terreno. In questo caso le ripercussioni rischiano di essere anche economiche: a quel punto spetterà al consumatore decidere se è disposto a spendere di più per avere un prodotto glifosate free.

 

 

 

Lo scacco al glifosato rappresenta un cambio di passo anche per l’ambiente: il diserbante è il primo indiziato per l’ingiallimento dell’erba sotto i filari, macchie nei panorami cesellati dalle viti lavorate a mano. «Per noi viticoltori è un cambio di passo importante – spiega Innocente Nardi, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore –, mentre prima sconsigliavamo l’utilizzo ora abbiamo intrapreso una collaborazione con le amministrazioni comunali per l’adozione dei regolamenti».

 

 

 

Una svolta che non soddisfa del tutto gli ambientalisti. Tra le fila del Wwf Gilberto Carlotto di Terre del Piave commenta amaro: «per ora non c’è nulla di concreto. Abbiamo chiesto ai sindaci di coinvolgerci, altrimenti si rischia che chi formula i regolamenti e le deroghe sia un portatore d’interesse. Noi abbiamo proposto di dare incentivi solo a chi abbandona i prodotti chimici. Al momento non sono neppure previste sanzioni». Secondo i calcoli elaborati dagli attivisti il consumo di prodotti fitosanitari venduti in provincia di Treviso è stabile attorno alle 4 mila tonnellate, sulle 17 utilizzate in tutto il Veneto.

 

 

 

«L’iter per quanto ci riguarda è stato completato e l’istanza già ratificata sia dalla Regione Veneto che Friuli-Venezia Giulia» spiega Stefano Zanette, presidente del Consorzio di Tutela Prosecco Doc -. Ora la palla è passata al Mipaaf, cui spetta deliberare la modifica da apportare al nostro Disciplinare. Dopodiché chi venisse colto in fallo non se la caverà con un’ammenda, ma si vedrà preclusa la possibilità di rivendicare il suo vino come Prosecco».

 

 

 

PIEMONTE

 

Langhe in ritardo. La scelta virtuosa tocca ai viticoltori

 

Si potrebbe scomodare Paolo Conte e raccontare «quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi» quando vediamo ancora quelle desolanti strisce gialle e marroni sotto i filari dei vigneti sulle colline di Langa, Monferrato e Roero. Eppure, è proprio così: in Piemonte il diserbo praticato con sostanze come il glifosato non è ancora stato messo al bando ed è in parte usato anche nelle pregiate zone del Barolo, del Barbaresco, della Barbera e del Moscato. Non certo un bel biglietto per chi viene a visitare quei paesaggi vitivinicoli celebrati dal’Unesco come patrimonio dell’umanità, o compra certe bottiglie a centinaia di euro.

 

 

 

Rispetto a qualche anno fa la situazione è migliorata e il verde naturale dell’erba è cominciato a brillare un po’ ovunque. Ma c’è da chiedersi perché nel Veneto del Prosecco intensivo la battaglia ai diserbanti abbia fatto breccia anche tra le istituzioni fino a diventare legge, mentre nel Nord Ovest non abbia attecchito più di tanto e la scelta virtuosa sia affidata alla buona volontà o all’interesse dei privati. L’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, la spiega così: «In Piemonte ci sono varie produzioni che sono già molto avanti rispetto al tema della sostenibilità, anche perché è entrato a far parte del marketing aziendale. Non c’è l’urgenza di adottare regolamenti, perché di fatto arriveremmo a imporre norme superate dalla realtà dei fatti».

 

 

 

Ricorda che il Piemonte negli ultimi anni ha più che raddoppiato il vigneto biologico, mentre le conversioni sono in costante aumento. «Anche a livello del programma di sviluppo rurale – aggiunge Pier Mauro Giachino, responsabile del settore fitosanitario regionale – abbiamo una serie di azioni virtuose che incentivano le pratiche agronomiche, in linea con il Piano di azione nazionale che obbliga ad andare verso una riduzione dei prodotti fitosanitari. Per questo non abbiamo mai ricevuto pressioni o richieste particolari».

 

 

 

Significativo è anche il fatto che a tirare la volata bio siano state non solo molte piccole imprese, ma anche e soprattutto aziende leader come Ceretto, Gaja o Fontanafredda, mentre anche una cooperativa come Terre del Barolo ha appena adottato un protocollo green restrittivo per i suoi 300 soci. Il vicepresidente del Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco, Pietro Ratti: «Nei mesi scorsi, abbiamo avviato un progetto di analisi dei residui per cercare di capire cosa resti sia nei terreni, sia nell’uva e nel vino. Prenderemo in considerazione non solo i diserbanti, ma tutti i trattamenti, perché anche rame e zolfo in eccesso possono essere altrettanto dannosi. C’è però da dire che è facile fare regolamenti restrittivi dove la viticoltura è in pianura e meccanizzata, mentre in collina è tutto più difficile e oneroso, soprattutto per quelle uve che non hanno una remunerazione elevata. E poi occorre un ragionamento più ampio, che coinvolga le altre colture e le amministrazioni comunali nella gestione delle scarpate e del verde pubblico».

 

 

 

Ma c’è anche chi parla di ritardo e arretratezza per il Piemonte, se non di subalternità alle multinazionali del farmaco. «Il Veneto è più avanti di noi e prima o poi anche la nostra Regione dovrà prendere una posizione – dice Luigi Biestro, direttore della Vignaioli Piemontesi, la più grande associazione di viticoltori d’Italia, che rappresenta il 30% del vino piemontese -. Molti tecnici hanno ancora una cultura tradizionale e non sono propensi a seguire metodi alternativi. Ma questa è la strada del futuro e gli imprenditori l’hanno ormai capito. È ora che anche il pubblico faccia la sua parte».

 

 

( Fonte La Stampa )

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