Home Curiosità I motivi dei ricarichi sul vino al ristorante: dal calice alla bottiglia...

I motivi dei ricarichi sul vino al ristorante: dal calice alla bottiglia fino al 500 per cento in più

Tra il 250 e il 400 per cento di ricarica sulla bottiglia. Fino al 500 per cento sul calice. Aumentare il costo del vino sul prezzo di produzione nei locali è una tendenza diffusa e fuori controllo. E se in Paesi come Cina ed Emirati Arabi può anche essere giustificabile, In Italia, realtà di produzione e lunga tradizione enologica, un po’ meno. Abbiamo cercato di capire come mai i prezzi lievitino tanto e in che modo possiamo «raggirare» l’ostacolo

 

 

Prendere un calice di vino al ristorante può voler dire spendere il 500 per cento in più sul prezzo di produzione. Scegliendo una bottiglia, invece, il rincaro potrebbe essere tra il 250 e il 400 per cento. È molto acceso il dibattito sulla ragionevolezza, o meno, delle percentuali di rincaro delle bottiglie di vino, perché in realtà non c’è una regola univoca: si può trovare la stessa etichetta a 25 euro in un ristorante e a 50 in un altro. Sicuramente questa tendenza al rialzo ha suscitato preoccupazioni per una delle abitudini più amate in Italia. I consumatori, infatti, sentono il peso di questi prezzi gonfiati, specialmente quando la spesa per il vino supera sproporzionatamente il costo del pasto stesso (l’aumento delle materie prime è solo una tra le tante voci ad affiancare la pioggia di rincari). Analizzando il mercato globale è, tuttavia, evidente che i prezzi elevati non sono un fenomeno esclusivo dell’Italia. Nazioni come Cina, Giappone e Emirati Arabi Uniti, noti importatori, presentano costi elevati, dovuti principalmente a dazi doganali e a costi di gestione associati alla mancanza di una tradizione vinicola.

 

Dal produttore all’enoteca

Per prima cosa, bisogna notare che anche i produttori hanno dovuto aumentare i listini per far fronte al moltiplicarsi dei costi energetici, del vetro e per affrontare i violenti cambiamenti climatici, da cui può dipendere una diminuzione della produzione o addirittura una perdita totale del raccolto, ma sono i proprietari dei ristoranti che si mettono in tasca la parte più consistente dei ricarichi applicati sul vino. Facciamo un passo indietro: quali sono i passaggi dal produttore al consumatore? Il distributore acquista dalla cantina con uno sconto medio del 20 per cento e rivende all’enoteca o al ristoratore con un ricarico che varia in funzione di quando, dove e da chi l’ha acquistato e, ovviamente, delle quantità in gioco. Può anche capitare che alcune collaborazioni si avviino direttamente tra produttore ed esercizio commerciale, evitando costi di intermediazione, in modo da abbassare la percentuale di ricarico. Al consumatore, l’enoteca effettua un ricarico medio del 40 per cento più Iva, una percentuale applicata indistintamente sia alle etichette locali che a quelle internazionali, fatta eccezione per le bottiglie particolarmente ricercate, il cui prezzo viene adeguato a quello di mercato.

 

Il rincaro nei ristoranti

Il rincaro firmato dal ristoratore, invece, va dal 250 per cento fino al 500 per cento. Per spezzare subito una lancia a favore della categoria dei ristoratori, occorre focalizzare cosa si cela dietro a numeri e statistiche e precisare che il costo del vino varia in base a numerosi fattori, tra cui il posizionamento del ristorante (un ristorante di fascia media avrà sicuramente un prezzo più calmierato rispetto a un ristorante di lusso), l’investimento complessivo per la carta vini (con manutenzione cantina, stoccaggio e aggiornamento), il target di clienti (la scelta della tipologia di clienti che si intende ospitare all’interno del proprio ristorante gioca un ruolo cruciale nella scelta del prezzo finale del vino) e anche la posizione del ristorante (uno chalet esclusivo a Cortina, un tavolo vista mare a Portocervo o una terrazza di fronte al Colosseo avranno sicuramente un pricing più alto rispetto a un agriturismo in aperta campagna), arrivando poi alla temperatura di servizio, la qualità del bicchiere, la stampa della carta vini, il livello di servizio offerto e la presenza di un sommelier. Si tratta di argomenti che sono alla base della determinazione del costo di qualsiasi prodotto, bene o servizio, che si propone al consumatore.

 

Diritto di tappo

Per uscire dall’impasse, si può far ricorso al diritto di tappo, ovvero la pratica di portare al ristorante una bottiglia di vino acquistata altrove, pagando al ristorante un piccolo sovrapprezzo corrispondente al servizio, alla stappatura, al lavaggio di bicchieri e decanter. Si tratta di una prassi non molto recente: nata negli Anni Cinquanta negli Stati Uniti, è nota come «corkage fee» ovvero «tassa sulla stappatura» o «byob» («bring your own booze», «porta i tuoi alcolici», o bring your own bottle, «porta la tua bottiglia»), si è diffusa in tutto il continente proprio di fronte al ricarico delle bottiglie al ristorante, arrivando anche in Europa e nel resto del mondo. Tuttavia, anche se tale prassi sta prendendo sempre più piede, molti sono ancora i ristoratori che si rifiutano di accettare bottiglie portate dall’esterno quindi, se si sceglie questa soluzione per bere bene senza spendere un capitale, è opportuno farne parola già al momento della prenotazione e concordarsi subito sul sovrapprezzo che verrà applicato (solitamente tra i 5 e i 10 euro a bottiglia).

( Fonte Corriere.it )

Annotazioni a margine

Ricordo la scuola Ais degli anni 1985/1990 indicava e consigliava, un rincaro medio del 100% sul prezzo delle bottiglie, cosa che difficilmente avviene, ma devo dire che ultimamente ho trovato ristoranti che applicano questo consiglio. In questo modo, con i prezzi contenuti, non sarebbe difficile vedere stappata la seconda bottiglia allo stesso tavolo da 4 persone. Per cui credo non convenga triplicare o quadruplicare i prezzi, chi si accontenta gode, è fuori luogo cercare di fare cassa quotidiana solo con il vino ! Ne gioverebbero anche i nostri bravi produttori, oltre che il cliente finale !

RG