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Per la vite un futuro Ogm?

 

Per la vite un futuro Ogm?



Ricerca e Slowfood a confronto in un convegno organizzato dal Club del Buttafuoco Storico e ITAS “Carlo Gallini”, Voghera

Non c’ la rincorsa al brevetto come per i cereali o la soia, ma anche per la vite si prospetta un futuro transgenico. Almeno per alcune variet e limitatamente ad alcune funzioni. E’ quanto emerso da un convegno organizzato dal Club del Buttafuoco storico e dedicato, per l’appunto, agli Ogm (organismi geneticamente modificati) nella viticoltura. L’incontro, realizzato in collaborazione con l’istituto agrario Gallini di Voghera, ha visto la partecipazione di Gabriele Milanesi, biologo dell’universit di Milano e membro del Cnr di Pavia, e di Maurizio Gily, agronomo e collaboratore di Slowfood. Come dire il diavolo e l’acqua santa, in materia di transgenico.

Posizioni ragionevoli

Chi si aspettava lo scontro frontale, per, rimasto deluso. Sono emerse, infatti, le diversit di opinioni, che in alcuni casi sono piuttosto nette, ma anche la disponibilit ad ascoltare la controparte per capirne le ragioni. A dimostrazione del fatto che quando due persone sono ragionevoli si pu discutere di tutto trovando anche dei punti d’incontro.

Lo stato degli Ogm

“Si potrebbe pensare che il transgenico non interessi la viticoltura. Io stesso lo credevo, ma documentandomi per questa occasione mi sono reso conto che, invece, molto si gi fatto”, ha esordito Milanesi. Senza dubbio, ha spiegato il biologo, il campo in cui la ricerca ha ottenuto i maggiori risultati quello dei lieviti, tanto che oggi non esiste praticamente lievito degli ultimi decenni che non sia ottenuto da modificazione genetica. “Il sequenziamento del genoma del lievito stato finanziato dall’industria della birra, che evidentemente ha un grosso interesse verso l’argomento. Inoltre – ha continuato il docente – i batteri sono organismi molto ben conosciuti e facili da trattare, quindi la modificazione genetica in questo campo alla portata di un normale laboratorio genetico”.

I lieviti Ogm si usano nella panetteria, nella produzione di formaggi e birra. Per esempio, per avere una schiuma pi densa. Per la viticoltura sono stati messi a punto diversi ceppi. Per esempio il lievito ML01, contenente batteri della fermentazione malolattica e quindi capace di favorire la fermentazione alcolica e malolattica allo stesso tempo. “In Canada, invece, si prodotto un lievito che riduce del 90% la presenza di etilcarbanato, una sostanza probabilmente carcinogena. Inoltre gi disponibile un lievito contenente un gene del pioppo che permette di aumentare notevolmente il tasso di resveratrolo, uno degli antiossidanti pi preziosi del vino per i suoi effetti positivi sulla salute umana”.

Altri studi su lieviti transgenici mirano ad aggiustare l’acidit, ridurre la formazione di SO2, favorire la liberazione di nuovi aromi.

E la vite?

Non c’ per dubbio che l’interesse maggiore – parliamo di opinione pubblica, almeno – si concentri sulla vite Ogm. In questo settore, ha spiegato Milanesi, la ricerca pi arretrata, ma si sta comunque muovendo su direttive ben precise. “Gli obiettivi sono ambiziosi: aumentare la resistenza del frutto e della pianta ai patogeni, migliorare le caratteristiche qualitative delle uve e infine migliorare la qualit dei vini prodotti”. Per il primo punto, si lavora sulle virosi (arricciamento fogliare, per esempio), sulla resistenza agli insetti e ai funghi. Ma si punta anche alla resistenza gli erbicidi, come il glufosinato. Per quanto riguarda le caratteristiche dell’uva e del vino, attraverso la modificazione genetica si vuol evitare l’imbrunimento dei vini bianchi, migliorare il colore di certi rossi o togliere i vinaccioli dagli acini dell’uva da tavola.

“Attualmente sono state fatte 43 prove in campo negli Stati Uniti, sette in Canada – principalmente per la resistenza al freddo – cinque in Francia e una in Italia e Germania.

Le controindicazioni

Secondo Milanesi, non esiste rischio di trasmissione di batteri resistenti agli antibiotici dalla pianta all’uomo (uno dei cavalli di battaglia di chi critica il transgenico) in quanto le molecole del vino vengono degradati durante la digestione. Nel caso della vite, inoltre, non vi il pericolo di impollinazione tra viti Ogm e tradizionali, dal momento che la moltiplicazione si fa per talea e innesto. “Il vero problema resta quello dell’accettazione da parte del consumatore e, se vogliamo, della denominazione: un vino transgenico pu essere considerato Doc? E pu stare nella stessa categoria del vino non trasgenico?”.

Il parere di Slowfood

Identico interrogativo stato sollevato da Maurizio Gily: “Un Bonarda transgenico pu essere definito ancora Bonarda? E pu essere venduto a fianco di quello tradizionale”.

L’agronomo, vicino a Slowfood, naturalmente, ha verso gli Ogm una posizione molto pi critica rispetto al ricercatore milanese. “Noi di Slowfood abbiamo catalogato 580 vitigni italiani, di cui 350 iscritti nel registro nazionale. Si calcola che, in tutto, i vitigni in Italia siano pi di mille, contro i 200 circa della Francia. Con tutta questa variet c’ bisogno di creare vitigni trasgenici? Inoltre in natura esiste gi una gran variet di mutazioni. Per esempio, il Pinot bianco, nero e grigio , dal punto di vista genetico, praticamente la stessa cosa”. Con un simile ventaglio di possibilit a disposizione, dice Gily, non ha senso tentare di migliorare la vite con l’ingegneria genetica.

“Soprattutto – ha aggiunto – i rischi sono sproporzionati ai vantaggi, almeno per la maggior parte degli obiettivi che si propongono i ricercatori nel campo degli Ogm. Che senso ha modificare la vite per fare un po’ pi di colore? Per quanto riguarda le virosi, vi sono gi sistemi di contenimento efficaci anche senza ricorrere al transgenico. La resistenza alle malattie crittogamiche potrebbe essere interessante, ma la genetica in questo campo ha ottenuto finora scarsi risultati. Infine, la riduzione nell’uso della chimica non possibile soltanto con gli Ogm, ma anche con altre soluzioni”.

Quello di Gily, comunque, non un no definitivo agli Ogm: “La ricerca sacrosanta e si deve fare. Ma il principio di precauzione deve prevalere, anche se sono convinto che il rischio per l’uomo sia basso. Quello che mi preoccupa l’eccessiva e univoca corsa degli scienziati verso una sola strada, dimenticando qualsiasi linea di ricerca che non riguardi gli ogm”.

Per il rappresentante di Slowfood, comunque, quando la posta in gioco alta si potrebbe anche provare. “Le modifiche al portinnesto sono interessanti, perch permetterebbero di ottenere importanti risultati, per esempio nella lotta ai fitoplasmi, e in pi non vanno a toccare la pianta fruttifera. In questo senso si potrebbe dare all’Ogm un’apertura di credito”.

Genetica, ma non Ogm

C’ infine un filone di genetica che utilizza incroci di tipo tradizionale. Lo ha ricordato Gabriele Milanesi. “Grazie al sequenziamento del genoma, oggi si possono fare incroci in modo molto pi veloce e sicuro, inserendo dei marcatori nel Dna della pianta, laddove sappiamo esservi i geni che ci interessa trasferire. Questi marcatori funzionano come spie che segnalano il passaggio del gene desiderato dalla sorgente alla pianta di destinazione. E’ un sistema utile soprattutto per specie, come la vite, che richiedono tre o pi anni di tempo prima di dare frutti. In questo modo si possono fare incroci tradizionali avendo conferma dell’avvenuto passaggio dei geni ancor prima che la pianta cresca. Questo accelera notevolmente i lavori senza ricorrere al transgenico”.

Buttafuoco, avanti cos

Nel corso del convegno c’ stato spazio anche per parlare del Club del Buttafuoco storico, che compie 10 anni e che proprio nell’ambito delle celebrazioni per questa ricorrenza ha organizzato il dibattito sugli Ogm. All’incontro erano presenti diversi sindaci del territorio di produzione, ma anche l’assessore provinciale all’agricoltura Mario Anselmi, il presidente della Camera di Commercio di Pavia Piero Mossi ed Elena Brugna, delegata dell’Assessorato regionale all’Agricoltura. La quale ha ricordato come la Regione guarda con attenzione al problema Ogm, tanto da aver attivato fin dal 2001 un comitato scientifico ad hoc.

Dicevamo del Buttafuoco storico, per. Le parole pi lusinghiere sono forse quelle di Maurizio Gily: “Avevo sentito parlare del Club, ma l’ho conosciuto bene soltanto in questa occasione. Devo dire che un’iniziativa che dovrebbe essere presa a modello da tutte le imprese. Vi siete dati regole di valutazione interne, fornite ai consumatori una garanzia non richiesta per legge, siete stati capaci di creare una rete di piccole aziende, solo modo per permettere a viticoltori “artigianali”, come quelli italiani, di fare promozione su un vino di alta gamma quale il Buttafuoco storico. L’unico consiglio che posso dare di non dimenticare l’importanza del vino comune, perch esistono i grandi vini, ma vi deve essere anche il vino per tutti i giorni e l’Oltrep ha in questo la sua grande forza”.

Per informazioni:
info@buttafuocostorico.it


( Fonte Buttafuocostorico )


 

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.