Storia di un imprenditore di successo
(Il Ghirlandaio) E’ un gioco ad effetto che riserva ai suoi ospiti. Li porta a bordo della sua Land Rover in un bellissimo campo ai piedi di una montagna dove fanno bella mostra di sé ordinatissimi filari di viti di Greco e Aglianico. La vista è spettacolare sul mare della baia di Salerno dal quale lo sguardo si allunga da Punta Licosa fino a Capri. Lui sceglie un punto in cui la vegetazione mediterranea è più fitta, fa due manovre con la prima e la retromarcia sull’erba incolta. Poi ferma il motore, chiude i vetri e accende il ventilatore dell’aria a tutto gas. Come per incanto l’abitacolo dell’auto viene invaso da un inebriante profumo delle erbe pestate: lentisco, caprifoglio, menta, origano, misti a ginestra, erica, rosmarino, a mirto e cisti. Lui ti guarda con un sorriso ammiccante e ti dice “Ecco questo è il profumo di questa terra, questo è il sapore del Cilento!”. E francamente si rimane senza parole per i profumi, per la suggestione del luogo e la vista incantevole che si gode da quassù.
E’ con questo biglietto da visita che vi si presenta Giuseppe Pagano, 58 anni, da Boscoreale alle falde del Vesuvio imprenditore alberghiero, proprietario fra l’altro dello scenografico Savoy Beach Hotel di Paestum che sembra uscito da una cartolina di Palm Spring in California, di un ristorante già segnalato dalle guide gastronomiche come una eccellenza territoriale, titolare di un’azienda vinicola di alto livello che il grande Gennarino Esposito ha voluto presente nella cantina del nuovo ristorante che apre a Capri, allevatore di bufale da cui ricava un latte di primissima qualità riservato ad un o dei più esclusivi caseifici della zona. Insomma un uomo per il quale non esistono mezze misure.
La chiama – con atto d’amore – la”mia” terra, in realtà la sua storia inizia alle falde del Vesuvio. Lì il padre Salvatore aveva tre ettari di vigna ma vinificava anche uve altrui. Un giorno per divisione ereditaria Salvatore rimase senza vigne, non per questo se ne stette con le mani in mano. Aveva nel frattempo conosciuto Giuseppa che diventerà sua moglie, la cui famiglia possedeva grandi estensioni di terreno in quel di Paestum. I due realizzano che alle falde del Vesuvio non si aprono grandi prospettive e decidono di trasferirsi a Paestum e impiantare una azienda di lavorazione vinicola che produceva un eccellente Aglianico. Un discreto commercio che rendeva bene. Interessante anche la storia di sua madre Giuseppa, oggi 93enne, una donna energica, famiglia numerosa, 16 figli e 200 ettari di terreni in quel di Paestum coltivati per lo più a pomodori. A 20 anni Giuseppa – “una donna in gamba”, recita con ammirazione oggi Giuseppe Pagano – rimasta sola dopo che i fratelli erano tutti partiti per la guerra, si era rimboccata le maniche riuscendo a gestire con profitto e l’incosciente caparbietà di una ventenne l’azienda di famiglia, che nel frattempo si era arricchita dell’allevamento di maiali, bufale e cavalli. Nel ’47, a guerra finita, Salvatore e Giuseppa dunque convolano a nozze. I due capiscono che con l’agricoltura si ricava poco e da contadini e allevatori si trasformano in commercianti, mettono su un emporio di olio, vino, fagioli, favini, leguminacee. Ma Giuseppa ha un pallino fisso che trasmette ai suoi figli: a Paestum bisogna puntare sul turismo, è lì il futuro .
Da due destini così intraprendenti ma soprattutto così legati al territorio, alla terra, alle radici contadine non poteva non nascere un uomo in grado di emozionarsi per i profumi di un campo di macchia mediterranea pestato dalle ruote del la sua Rover. Il giovane Giuseppe ha voglia di fare e comincia a farsi le ossa fin da piccolo. Prima di andare a scuola se ne andava in azienda “a girare qualcosa come 130 quintali di mosto per volta. Spesso anche di sera, dopo Carosello in tv, ritornavo a girare il mosto, tutto a mano, tutto in apnea perché non potevi respirare le esalazioni della fermentazione: è così – sorride – che mi sono venute le spalle larghe”. Ma tutto si faceva soprattutto con entusiasmo. Il grande passo arriva all’inizio degli anni ‘80 dalla vendita di alcuni terreni e di un supermercato messo su con un fratello, Giuseppe riesce a comprare da due coniugi tedeschi decisi a ritornare in patria un piccolo albergo sul mare, la Pensione Schumann.
Decorosa, 27 camere di cui 22 senza bagno, bisognosa di cure, impianti e restauri. La clientela dell’albergo è prevalentemente tedesca tutti appassionati delle rovine e dei templi. Pagano e il fratello non si perdono d’animo, accendono prestiti bancari, lavorano sodo per apportare migliorie, modernizzare le strutture, rendere più confortevoli gli ambienti. Imparano a parlare tedesco. E i clienti non solo apprezzano ma aumentano addirittura. “Bella esperienza – ricorda oggi Pagano – ma in un pollaio non possono esserci due galli”. E così Giuseppe lascia la pensione al fratello e si fa liquidare la sua parte. Li vicino c’è un alto albergo un po’ trascurato, l’Hotel Esplanade, ovviamente lo compra subito e si ributta nei debiti con le banche per rinnovarlo. Ma non può essere il suo punto di arrivo. Pagano ha messo gli occhi su una grande estensione di terreno, per lo più brulla, nei pressi dell’Esplande. E’ qui che sorgerà il suo albergo, quello sognato fin dai tempi in cui giovane studente andava a rigirare il mosto in cantina dopo aver visto Carosello in tv, nel rispetto della grande l’intuizione di mamma Giuseppa, “questa e‘ terra di turismo, bisogna saperci fare”.
Pagano inizia a viaggiare per tutta Europa, alberghi e fiere. Studia tutto fin nei più minuziosi particolari. “Quando arrivavo in albergo, smontavo i letti e gli armadi, andavo a sbirciare anche negli angoli più riparati, spostavo i mobili per vedere come erano stati realizzati. Prendevo appunti su tutto, sui sanitari, sulle tende, sulle porte, sulle maniglie, sulle moquette, sulle forniture ma non certo per copiare, bensì per evitare di incorrere negli errori commessi da altri.” Nel 1992 può finalmente avviare la costruzione del suo Savoy di cui ha una granitica certezza, dovrà essere spettacolare e dotato delle più moderne tecnologie. L’operazione parte ma si arresta quasi subito. Il 1992 è l’anno di Mani Pulite, saltano tutti i riferimenti politici e istituzionali alla Regione e negli enti locali, si fermano anche i finanziamenti delle banche. Non bastasse questo terremoto amministrativo finanziario nel clima di catarsi giudiziaria molto diffuso in quegli anni, arrivano i sigilli della magistratura al cantiere. Vi rimasero quattro anni, bloccando tutto, prima che un tribunale sentenziasse l’assoluta insussistenza di indizi.
E Pagano che fa, cade nella disperazione con tutti quei capitali bloccati? “Neanche per sogno, io sono uno che combatte , ho sempre fatto di necessità virtù, e quando mi trovo in battaglia penso solo a vincere”. Intanto gli capita una partita di centinaia di Palme di alto fusto dismesse dai vivai per usi commerciali, se l’accaparra subito e chiede alla magistratura l’autorizzazione di poterle mettere a dimora in quello che avrebbe dovuto essere il giardino dell’albergo e che oggi conferiscono alla struttura una atmosfera da lussuosa residenza tropicale. Contemporaneamente mette in cantiere uno studio di fattibilità “vero, non di quelli che si fanno per routine”. Si affida per questo al prof. Aureliano Bonini, docente di Management delle Aziende Turistiche alla Facoltà di Economia del Turismo di Assisi.
“Contattai Bonini – ricorda oggi Pagano – mi diede un appuntamento, mi fece parlare per più di mezzora. Io gli esposi tutte le idee che avevo catturato nei miei viaggi in Europa studiando alberghi e attrezzature turistiche. Pattuiamo un cifra. Ma al momento di pagare il Prof. Bonini molto elegantemente me ne chiede solo la metà perché – mi disse – aveva catturato i miei concetti sulla banchettistica per scrivere un suo saggio, per cui ritenne giusto farmi uno sconto”. Finalmente il processo mette la parola fine alla vicenda giudiziaria, riparte il cantiere di un albergo studiato già sulla carta per essere un quattro stelle standard internazionale. Nel corso dei lavori Pagano ha un’altra idea: l’arrivo in albergo sarà scenografico con una grande vasca con giochi d’acqua e tutte quelle palme che richiamano alla California, ma l’ingresso non deve essere da meno. Per cui decide di modificare il progetto , rinuncia a otto stanze per poter sfoggiare una hall a doppia altezza come ne aveva visto nei grandi alberghi del nord Europa.
E dentro? Una grande scalea di ispirazione rinascimentale in botticino con una larghezza differenziata dei gradini studiata da lui per il diverso passo del pubblico di media e grande altezza (“in poche generazioni l’italiano medio è aumentato notevolmente di statura, dobbiamo pensare sempre al futuro”) introduce all’area dei grandi ricevimenti e delle convention. E qui ancora grandi numeri. Realizza una sala per ricevimenti senza pilastri in grado di ospitare 1000 persone ma tutta divisibile e scansionabile a pareti scorrevoli che assicurano un abbattimento acustico di 45 decibel, tutta tecnologica, dalle luci agli schermi retraibili e ai proiettori a scomparsa. E fuori? Una piscina enorme che forma poteva avere? Ma quella di un anfiteatro romano in omaggio ai templi di Paestum che sono a poche centinaia di metri da qui.
Un albergo di questo livello deve avere anche un ristorante all’altezza. Un problema? Neanche per sogno per Pagano che chiama a dirigerlo uno dei più gettonati chef emergenti, Matteo Sangiovanni che nel 2011 ha conquistato con la N.I.C. (Nazionale Italiana Cuochi) la partecipazione alla Coppa America di cucina a Dallas dopo che il team si era appena laureato a Dublino come migliore squadra campione continentale. E il ristorante “I tre Olivi” è già quotato con ampi punteggi sulle più prestigiose guide gastronomiche nazionali. Uno dirà, bene! una bella soddisfazione per un ragazzo che rigirava il mosto dopo Carosello. Ma al nostro tutto ciò ancora non basta. Ristorante di lusso, Albergo di lusso, giardino tropicale di lusso, ma la “sua” terra e i “suoi” profumi? Et voilà un’altra bella impresa, quella dalla quale siamo partiti quando a bordo della Land Rover ci ha sorpreso con i profumi del Cilento. “Ero stato invitato da un mio fornitore, Ruffino a visitare la sua cantina. Vedo colline decorate di filari tutti allineati, curati, sembravano pettinati. Mentre camminavamo nelle vigne io già cominciavo ad allungare il passo per misurare la distanza fra i filari, mi informavo sulle tecniche di lavorazione del terreno, sulle ultime ricerche scientifiche. Mi viene un magone in gola pensando alle origini della mia famiglia. Torno a casa e dopo una settimana decido di rientrare nel settore. Ma seriamente! E in questo mi arrabbio con i miei compaesani: perché da noi nessuno aveva mai realizzato prima una cosa del genere, una cantina visitabile, vini di eccellenza come hanno saputo fare in Toscana?”.
Pagano acquista i primi 33 ettari, li bonifica, si convince dell’importanza di avviare a produzione un vino biologico, legge tutti i libri dello slowfood, si informa con gli agronomi. Ma soprattutto col suo carattere non cerca mezze misure e si rivolge direttamente a Riccardo Cotarella il principe degli enologi italiani, conteso in Italia e all’estero. E a quei 30 ettari iniziali se ne aggiungono altri 22, e poi altri ancora. Nel 2006 si parte con i primi impianti. Oggi quel vino – “Cantina San Salvatore” in omaggio al padre, 140.000 bottiglie in produzione al momento – che si fregia dell’etichetta disegnata da Gillo Dorfles, in soli due anni ha già conquistato – ma c’era da dubitarne? – diversi primati, è nelle migliori enoteche italiane, è esportato in Svizzera, Germania, Belgio, Olanda, Svezia , Stati Uniti, Giappone. I nomi sono tutto un omaggio al territorio, Pagano ha scelto i nomi di paesi della zona modificando una lettera, ed così abbiamo Jungano, Pian di Stio, Calpazio, Trentenare, Vetere, e ovviamente Aglianico e Falanghina, tutti rigorosamente igt “Ancora oggi la sera vengo qui e ascolto la vigna, si sentono le api, i bombi che impollinano i fiori del sovescio, della tulla, della flora spontanea. La vigna mi parla per questo io rispetto le abitudini e le ritualità contadine. San Salvatore non è soltanto un’azienda, è un entusiasmante laboratorio a cielo aperto, un progetto di sviluppo agricolo in cui si dà valore ad una produzione consapevole ed ecosostenibile” . Sull’etichetta un bufalo stilizzato. La ragione?
Un altro omaggio all’animale simbolo del Cilento che produce le più pregiate mozzarelle italiane oramai apprezzate in tutto il mondo. Ma c’è dell’altro: “Quando misi a dimora la vigna io mi sono fatto due calcoli: dunque oggi metto le piante e imbottiglierò fra quattro anni nel 2010. E quando prendo i soldi? Poco qui sotto alla vigna c’era una stalla di bufale abbandonata. L’ho rilevata e ne ho fatto un centro di produzione lattaria di altissima qualità, tutto tecnologicamente avanzato”. Tutte le 450 bufale sono infatti registrate e rilevate quotidianamente da un computer che rileva la loro produzione di latte, realizza statistiche sui record individuali e collettivi di produzione, fornisce la storia di ogni singolo animale, la sua genealogia, le sue lattazioni. “A regime mi hanno assicurato un budget di 800.000 euro l’anno. Quello che mi occorreva per finanziare l’investimento a lungo termine della vigna”. Poeta e contadino sì, ma anche attento al reddito.
Guardando indietro nel tempo al cammino percorso chiediamo a Pagano una considerazione finale: “Ho voluto semplicemente dimostrare a me stesso innanzi tutto, ma anche ai miei figli, ai giovani di questa regione, che qualcosa si può fare. E’ vero che molti giovani vogliono andare via, vogliono andare a lavorare all’estero perché , dicono, qui non c’è niente. Ma io obietto loro per lo stesso motivo , se non c’è niente si può fare tutto. Ma soprattutto dico a tutti fatelo con amore, perché se vi piace darà risultati sicuri. E se non vi piace, fatevelo piacere lo stesso perché non potete fare altro. Certo sono stato fortunato, lo ammetto. Ma molto di quello che ho costruito l’ho fatto sotto la spinta di una passione fortissima, per la terra, per il lavoro, per i rapporti umani. Questa terra è avara solo con chi non le parla e con chi non l’ascolta”. Detto da Pagano ci si può credere.
( Fonte Il Ghirlandaio.com )