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Sperimentati alla Scuola Malva di Bibiana Vini rari e di qualità anche nel Pinerolese?


 


 


 


Non c’è mai stata molta convinzione sulla possibilità di produrre anche nel Pinerolese vini di eccellenza e di fama. Se ne producono di accettabili, con decorose nicchie di mercato, ma di superlativo nulla. Niente che stia alla pari dei blasonati “langaroli” o “monferrini”, od anche solo del canavesano “Erbaluce”.


 


A cancellare questa convinzione che non si possa avere anche da noi un vino di tal fatta ci sta provando, con risultati apprezzabili, la Scuola Malva Arnaldi di Bibiana. Tutto è partito per caso. Nel 1998 fu quasi d’obbligo raccogliere in un vigneto circa una settantina di vitigni autoctoni delle vallate alpine occidentali, in particolare del Pinerolese, altrimenti destinati alla scomparsa, anche perché privi dell’autorizzazione al reimpianto. Si raccolsero dieci piante per vitigno, poca cosa tuttavia sufficiente per potere eseguire quel minimo di sperimentazione sulle uve raccolte. L’intento era quello di capire se tra questi ce ne fossero alcuni validi da meritare il reimpianto. Con finanziamenti della Regione Piemonte, la Scuola Malva si è munita di una cantina adatta alla microvinificazione e, in stretta collaborazione con il Cnr e la facoltà di Agraria dell’università di Torino e di concerto con Il tralcio Srl, l’Associazione vignaioli piemontesi si è messa all’opera. Per tre anni successivi ha vinificato sei bianchi e sette rossi per esaminare e confrontare i risultati.


 


Venerdì 4 luglio sono state presentate al pubblico le eccellenze. Assaggiati e commentati nelle loro qualità organolettiche, profumo e colore da Gianfranco Cordero, enologo e assaggiatore professionista dei pregiati vini delle Langhe e da Franco Turaglio, responsabile della condotta Slow food del Pinerolese, al primo posto tra i bianchi sono risultati il Bian Ver, la Malvasia Bianca e il Nascetta. Tra i rossi il Cardin e il Barbera ‘d Davi.


 


Altro lavoro di pregio ha riguardato la vinificazione per l’ottenimento di vini speciali di due vitigni autoctoni già autorizzati. Si tratta del Doux d’Henry dal quale si è ottenuto un vino passito attraverso l’appassimento delle uve e la successiva vinificazione in bianco, e la realizzazione di un vino liquoroso mediante l’aggiunta di alcol ed interruzione della fermentazione, mantenendo un residuo zuccherino.


 


Altra lavorazione è avvenuta sul Chatus (Neiret Pinerolese) con prove di macerazione più o meno lunga per l’estrazione dei polifenoli dalle bucce e destinare poi il vino all’invecchiamento in legno.


 


 


( Fonte Ecodelchisone )