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BERREMO VINO SVEDESE?

BERREMO VINO SVEDESE?


 


Lo sostengono anche i climatologi del Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR), che avvertono: non è fantascientifica l’idea che, in un futuro non troppo remoto, i migliori vini frizzanti del globo potrebbero venire dal Surrey britannico anziché dalla regione francese dello Champagne o da quella italiana della Franciacorta. L’acuta sensibilità ambientale dell’uva da vino separa i vigneti da altri tipi di colture, afferma Dan Cayan dello Scripps Institution of Oceanography, secondo cui “è possibile che tra non molto alcune aree del mondo che producono vini pregiati finiscano in aree climatiche non più adatte alla produzione”.


Anche per il CGIAR, l’ora X potrebbe scattare al Capodanno del 2100, quando l’inserobile riscaldamento del clima del pianeta porterà le regioni vinicole verso i poli, cioè verso maggiori altitudini.


E’ lo stesso fenomeno che, a circa metà di questo secolo, sposterà dal Midwest statunitense al Canada le grandi pianure coltivate a grano del Nordamerica.


 


L’UVA COME IL CANARINO IN MINIERA


 


 


Ma sul vino, che è ancora più sensibile del grano agli effetti dei gas serra, gli effetti devastanti dell’innalzamento dell etmperature sarà più evidente: “L’uva da vino è come il canarino delle miniere. Bastano pochi gradi in più e tutto cambia”, hanno detto i climatologi del CGIAR al Los Angeles Times. Finora, osserva il giornale, il riscaldamento del pianeta aveva offerto motivo di gioia per i produttori, soprattutto in Europa.


“I vini tedeschi asciutti che vengono prodotti oggi sono veramente deliziosi. Ci hanno guadagnato anche i vini inglesi e quelli canadesi”, ha osservato Jancis Robinson, un enologo britannico.


Secondo Gregory Jones, climatologo della Southern Oregon University cresciuto in un’azienda vinicola, “col vino si assaggia letteralmente l’effetto serra”.


A suo giudizio il Bordeaux di oggi è meglio delle annate del passato “perché ora riescono a portare meglio l’uva a maturazione”. Ma il futuro non è tutto rose e fiori.


 


FINE DEL BAROLO?


Correndo ai ripari gli agronomi del campus di Davis dell’Università di California stanno lavorando a mettere a punto varietà in gradi di reggere a una maggiore esposizione al calore e alla siccità.


E in Spagna si sta studiando l’impianto di vigneti sulle pendici dei Pirenei mentre Belgio, Danimarca e perfino la Svezia hanno fiutato l’affare e stanno investendo nella viticoltura.


 


“Se il Barolo o il Chianti saranno prodotti in Danimarca, vorrà dire che convertirò le mie viti in coltivazione di banane”, ride (amaro) Baldo Cappellano, produttore della Casa vinicola Cappellano di Serralunga d’Alba (CN). Che aggiunge: “C’è forse troppo allarmismo negli scenari ipotizzati. Però una cosa è certa: leggevo che il 2006 è stato l’anno più caldo degli ultimi 130 anni e io so che 130 anni fa il barolo era più buono di quello di oggi”.


Il caldo, sull’ultima vendemmia, dice Cappellano, è stato, fortunatamente, ancora positivo. Ma fino a quando durerà?


“Qui, è mesi che non piove. Vero che l’esposizione a raggi solari più forti e diretti anticipa la maturazione dell’uva e rende gli acini più ‘saporiti’, ma il traguardo, se andremo avanti così, è la siccità. Credo che siamo arrivati al punto di non ritorno e ciò mi preoccupa: io, oltre a produrre ancora barolo, domani spero di lasciare ai miei figli una terra rigogliosa e non desertificata, dalle risorse sperperate”.


Già, tra sperare e sperperare è solo questione di tempo…


 


( fonte Panorama )