Cè una certa euforia nel mondo del vino italiano negli ultimi tempi: dovuta ai dati del nostro export negli Usa, innanzi tutto, che ci riportano alla considerazione che ancora oggi un più 7,4% su quel mercato equivale a percentuali a tre cifre nella maggior parte dei cosiddetti Paesi emergenti dei quali molta parte della stampa generalista si riempie la bocca senza sapere bene di cosa sta parlando.
Negli States siamo il primo paese esportatore di vini, con un miliardo di dollari di fatturato e un prezzo medio di cinque dollari per litro, che è moltissimo. Siamo stabilmente davanti ad unAustralia che sta perdendo posizioni ed anche davanti alla Francia, che esporta a prezzi maggiori dei nostri, ma con quantitativi neanche lontanamente paragonabili ai nostri. Quindi sembrerebbe che tutto stia per tornare al periodo delle vacche grasse, quello compreso fra il 95 ed il 2000, nel quale i prezzi simpennavano e i produttori erano tutti molto felici.
Se qualcuno la pensasse così, credo che sarebbe quanto meno incosciente. La cosa fondamentale che i molti anni di crisi ci dovrebbero avere insegnato è che indietro non si torna mai, anche perché nel frattempo è cambiato il mondo, anche quello del vino. La commercializzazione non è più quella di una volta, e non soltanto negli Usa. Da noi stanno tramontando figure professionali come un certo tipo di distributori, come i tradizionali rappresentanti di commercio. Il vino di qualità entra decisamente nelle varie espressioni della GDO, nel commercio in rete, anche internazionale, mettendo sempre più in crisi il ruolo dellintermediazione così come era fino a poco tempo fa.
A Bordeaux si sentono i primi scricchiolii sotto gli austeri scranni dei più noti negociants, i cui privilegi sembrano avere, se non le ore, almeno gli anni contati, perché i consumatori sono cresciuti, sanno dove approvvigionarsi, e non sono disposti ad avallare rendite di posizione di alcun genere.
Perciò calma e gesso, soprattutto con i prezzi. Ci vuol poco a scoprire un fantastico Albarinho della Galizia e comprarlo a cinque euro in rete e rinunciare a un bianco italiano che costa il doppio. Siamo in Europa, no?
( Fonte Daniele Cernilli- Gamberorosso )