Ma negli altri posti come fanno? Come hanno fatto a Barcellona a completare in un anno la Rambla del Mar? E Londra, che in dieci anni ha completamente stravolto il suo skyline?
( nella foto la Rambla de Mar di Barcellona )
Come mai quando torni nelle città del mondo che già conosci ti accorgi che sono nati nuovi palazzi e piazze e ristoranti e negozi e locali d’intrattenimento e quando torni in Patria ti sembra tutto maledettamente fermo, immobile e ingessato?
Peggio. Ti accorgi di quei cantieri infiniti, di quelle impalcature quotidiane, delle saracinesche abbassate da un anno, due anni, tre anni sempre uguali a se stesse. Insomma: in che razza di Paese viviamo?
Dannata burocrazia, Razza Lentona dello Stivale. Solo qui potrebbe accadere che un colosso dell’enogastronomia, «Eataly», che ha negozi in Italia e nel mondo, annunci l’apertura ma l’inaugurazione sia a rischio perché forse non ci sono tutte le carte. Cos’è, uno scherzo? Di chi la colpa?
Le carte, quello è il male. Quante ce ne vogliono per aprire un megastore da 8mila metri quadrati? Più o meno lo stesso numero che serve per una piccola gelateria, per ristrutturare il tinello, per costruire un capannone industriale. Ce ne vogliono comunque troppe. E per averle devi trasformarti in una pallina da flipper e andar su e giù tra Comune e Regione, Lavori Pubblici ed Edilizia, Asl e Vigili del Fuoco, Soprintendenza e Catasto. E ancora, e ancora. E i tempi per averle, le famose carte, sono l’apologia dell’incertezza. E le norme che regolano l’emissione di queste carte sono decifrabili come il Codice Da Vinci. Ovvio che nei labirinti della burocrazia s’annidi alla fine qualche infedele che per velocizzare e semplificare ciò che la legge complica, proponga scorciatoie. In altre parole: è chiaro che in questa ragnatela qualcuno si metta a chiedere mazzette, perché il diritto è diventato un favore. E non da adesso.
Ma torniamo a Bari. E a «Eataly». Qualcuno, maligno, ipotizza che tutte le complicanze nate intorno all’apertura del luogo culto del cibo e del vino siano il frutto di una levata di scudi. Alcuni operatori economici avrebbero profuso il potere antico della lobby e avrebbero chiesto (e ottenuto) di mettere i famosi bastoni tra le ruote. Roba da intrighi a Palazzo. «Lo sapete com’è Bari: io non lo voglio fare, ma non devi farlo neanche tu. Cosa? Tutto». Ma a noi i luoghi comuni sulla peggiore baresità non piacciono. Vogliamo piuttosto preoccuparci del futuro. Degli orizzonti nuovi. Delle occasioni. E torniamo, allora, sulla Fiera del Levante, nella cui costola monumentale spalancata sul mare «Eataly» sta per nascere con i suoi profumi ed i suoi sapori. Non ci stiamo consumando da mesi in un dibattito perfino estenuante, oltre che ideologico, sulle prospettive della Fiera? Che non è più campionaria, non è più il passato, non è più rurale e paesana, e qualcos’altro, ma cosa lo stiamo ancora costruendo. E allora? Non dovremmo piuttosto partire da esperienze come «Eataly» per ridefinire il quartiere fieristico in termini di forma e sostanza? Forma, perché c’è un luogo bello da vivere. Sostanza, perché pubblico e privato si fondono com’è ormai prassi nelle società evolute.
Che sia burocrazia, che sia cultura (o subcultura), che siano interessi, questa storia non fa che additare certe nostre inattitudini. O inettitudini. Pubbliche e spesso anche private.
( Fonte www.lagazzettadelmezzogiorno.it )