Navigando in quelloceano che internet, ho trovato questa riflessione di un lettore, il sig. Alvaro Pavan, che non conosco, in risposta ad un articolo riguardante il sig. Angelo Gaja, uno dei produttori piu blasonati in Italia ed allestero. I suoi vini spuntano prezzi molto elevati ed il lettore bene analizza il concetto di vino, col quale mi sono ritrovato in pieno accordo, anche per quanto riguarda un buon bicchiere di vino ai pasti sempre, ogni santo giorno della nostra vita, da 3 fino a 100 euro non importa.
Buona lettura
Roberto Gatti
Perch tutto quest’astio verso Gaja? Personalmente i suoi vini non m’interessano. Fuor di dubbio che sono fatti bene e che rientrano in quel certo circolo di cosidetti “premium wines”. Piacciono ad altri, ai ricchi in particolare, ma non solo. Buon per lui. A me non piacciono non perch non sono buoni, ma perch non mi emozionano. Ma questo tutto un altro discorso, che poco o niente riguarda quello che ha detto. Che non una sparata, ma un discorso che aveva gi in precedenza affrontato sostenendo la tesi del vino come bene voluttuario in contrapposizione a quella di Zonin che lo vedeva ancora come un alimento quotidiano. Gaja non nega questo. Semplicemente realizza che il mondo e la nostra vita quotidiana cambiata, e quindi anche il vino da presenza energetica si via via trasformato in una pi squisitamente edonistica, quindi voluttuaria. Analisi alquanto realistica, mi sembra. Per quel che mi riguarda, il vino ancora una presenza quotidiana. Non riesco a concepire un pranzo o una cena, per quanto frugale, che non abbia il conforto di almeno un bicchiere di vino. Buono s’intende, che sia da una bottiglia da 4 o 200 euro, il piacere non cambia. Nella fattispecie, sarei curioso di sapere quanti degustatori di vino adottano questo stile di vita. Detto questo, non vedo nessun moralismo nel discorso di Gaja, ma bens una sua personale visione della realt, opinabile fin che si vuole, ma meritevole di essere dibattuta. Che tiri l’acqua al suo mulino altres giustificabile, o non un riconosciuto maestro di comunicazione? Signori miei, si nel mercato per vendere, per tirare a casa dei quattrini, per poter continuare a fare il proprio vino; chi, purtroppo, ricorrendo alla farmacia del diavolo e chi,invece, riprendendo il cavallo per scalzare le proprie vigne. A noi l’uso del libero arbitrio nel decidere cosa portare sulla nostra tavola. Ma indipendentemente da ci, dare la possibilit di sputare dopo l’assaggio, un segno di rispetto e di educazione. Per inciso, i francesi considerano negativamente chi beve quando si assaggia, fosse anche il pi costoso dei Montrachet. La degustazione non ammette la beva. Si beve, per l’appunto, a tavola. E a tavola, purtroppo, si sta sempre meno tempo, e quel poco impegnato pi a guardare la televisione mangiando spesso cibi preconfezionati che a parlare e condividere uno dei momenti pi belli della nostra giornata. Nel contesto, evidente quanto sia realistico l’assunto di Gaja in una diminuzione dei consumi. Dove non c’ tempo e gioia per la tavola, non c’ posto per il vino. E’ per questa ragione che il vino tender a costare sempre pi; perch ha perso la sua fisionomia di alimento ristoratore quando la fatica fisica era una componente essenziale della nostra giornata lavorativa e, nonostante tutto, non si trasformato in reale cultura e filosofia di vita. Nonostante il gran parlarne, quello che manca proprio la cultura del vino, tanto che adesso si sta scatenando la sua demonizzazione nell’equazione: vino=alcool. Altro che civilt del vino, qui lo si sta spacciando come una droga. Si sta confondendo l’imbecillit di neo patentati alla guida di auto superveloci, e la relativa imbecillit dei padri che gliele comprano, con le conseguenze che da questa derivano come una colpa da imputare a quello che hanno bevuto. Il vino non ha colpe. L’origine di tutto ci, se proprio vogliamo trovare un nesso, nella totale o quasi, mancanza di educazione. Ecco che una risposta adeguata e una efficace comunicazione che investa tutto il mondo della produzione del vino pi che mai auspicabile. Mi sembra perci condivisibile anche questo aspetto analizzato da Gaja. A fronte anche, di certe realt produttive che tendono a spacciare il vino come una bevanda. Questo s un aspetto deleterio. Perch il vino tale non , in quanto non assolve alla funzione di dissetare, ruolo che spetta unicamente a quel bene prezioso che l’acqua. Esso non spegne la sete, ma bens ristora il corpo, e, cosa ancor pi nobile, rinfranca lo spirito. E’ questo il dono che ci viene dalla vite. Allietare ogni giorno quel tanto che basta per continuare ad affrontare gli affanni della vita. Questa la civilt del vino, da anteporre alla follia produttivistica e alla visione igienista e salutistica che niente potr per strapparci al destino di esseri mortali. Per assolvere a questa funzione e rimanere fedele al suo valore profondo, il vino deve uscire dal sistema industriale. Tornare alla terra, questo s. Rendersi conto che esso frutto della terra pi che dell’uva, anche se potr sembrare strano. Perch produrre uva relativamente facile. Coltivare ed allevare una vigna fatica e sudore, passione, sogno, amore, ambizione anche, perch no? E nel vino come segno di civilt tutto questa vitalit la ritroviamo, a differenza di quando viene ridotto a mero processo produttivo, allora s solo sostanza alcolica, inerte e morta e come tale dannosa al corpo e allo spirito.
Alvaro
scritto da Alvaro Pavan il 30.03.07 16:46