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Il Pigato

 


  


 


 


Inizia oggi, per essere poi ripresa nelle prossime settimane, una panoramica dei vini della nostra terra. Come fanno le riviste più blasonate di noi, partiamo dai bianchi per poi arrivare ai rossi liguri. Per quel che riguarda i leggendari spumanti e passiti liguri (escluso il nettare cinque terre sciacchetrà) attendo lumi da voi: cerchiamo di conoscerli insieme, in quanto devo averne visto una bottiglia quando ero ancora minorenne e poi il nulla.


Oggi parliamo un po di Pigato. Già per letimologia di questo vitigno cè gente che si picchia. La maggioranza degli studiosi fa derivare il nome dal suo acino macchiettato (pigau in dialetto), mentre un gruppo di dissidenti lo fa risalire a latino picatum, un vino aromatizzato con pece del tempo dei Romani. A proposito di personaggi storici, nel I secolo a.C. lo storico greco Diodoro Siculo affermava: In Liguria né olivo né vite, ma foreste, terra inaccessibile a Cerere e Bacco questa è quella che si dice lungimiranza Tornando al nostro pigato: vitigno autoctono del nostro territorio, cioè, come dice Wikipedia: una specie che si è originata ed evoluta nel luogo in cui si trova. Non sarebbe proprio esatta la definizione, in quanto la vite si è spostata in giro per il mondo attraverso i secoli e il nostro pigato è originario della Grecia, per la precisione la regione della Tessaglia, ma visto che è da noi da più di quattrocento anni, è oramai a tutti gli effetti autoctono.


Insieme al Vermentino e al Rossese fa parte della D.O.C. Riviera Ligure di Ponente.


Come riconoscerlo da un barolo? E un vino bianco secco. Colore da giallo paglierino scarico a giallo paglierino con riflessi tendenti al dorato (vedremo che per il vermentino sarà più o meno la stessa cosa ma i riflessi saranno verdognoli). Odore ampio, fruttato, fragrante, persistente, con netti sentori di frutta. Ci si può sentire la pesca matura, il miele, e subito dopo fiori freschi di campo e salvia sclarea, possono uscire anche sentori di muschio e sottobosco; basta non sentirci il goudron (letteralmente catrame) altrimenti veramente stiamo assaggiando un barolo.


Il sapore secco ma morbido, delicatamente caldo, un po meno sapido del vermentino, di buon corpo, quasi – e dico quasi – grasso, di ottima persistenza e con piacevole retrogusto amarognolo.


Per gli abbinamenti una regola quasi sempre doro: il vino si abbina ai piatti della tradizione del territorio dove è da sempre coltivato. In questo caso sarà perfetto con i primi di mare o primi della nostra tradizione quali trofie al pesto, mandilli di Sèa,  minestrone alla genovese, ma anche secondi sempre di pesce.


Limportante è che assaggiate sempre vini di produttori diversi: è il migliore sistema per scoprire il pigato buono da quello che buono non è. Uno dei prossimi articoli sarà sul perchè il cosiddetto vino del contadino è genuino ma di certo non fa bene (e non è nemmeno buono). E da martedì prossimo saprete tutto quello che avreste voluto sapere sullo Slow Fish ma non avete mai osato chiedere (così mi becco una diffida anche dal legale di Woody Allen).


 


( Fonte IVG )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.