Home Curiosità Jean Alesi e il suo vino: “Ho imparato l’attesa”

Jean Alesi e il suo vino: “Ho imparato l’attesa”

Jean Alesi sembra uscito dalle righe di «Nuvolari», poesia per musica di Roberto Roversi: «Basso di statura, bruno di colore». Come il Mantovano volante, il pilota francese al volante (anche adesso) «fa quello che vuole, dentro il fuoco di cento saette». E, soprattutto, «rinasce come un ramarro».

 

(Jean Alesi )

La rinascita di Alesi è avvenuta in una vigna vicino a casa. Conclusa la stagione delle corse dalla Formula 1 a Indianapolis, è diventato un produttore di vino. Rischiava di essere una delle tante star che scambiano un hobby con una vocazione. Robert Parker, il critico americano più influente, ha premiato il Clos de l’Hermitage di Alesi con un inaspettato 94/100 e da quel momento la trasformazione dell’asso della Ferrari si è compiuta.

Sul tavolo ci sono due bottiglie. Una del 2003, l’altra del 2009. Il Clos è un’assemblaggio in parti uguali di tre uve: Grenache, Syrah e Mourvedre. Viene dalla Côte du Rhône, la zona è quella della Certosa di Villeuneuve-lez-Avignon. Alesi è abbronzato e magro, ordina il suo piatto preferito, il risotto al salto, mentre un cameriere è così felice di servirlo da volerlo abbracciare, un altro chiede l’autografo per il figlio.

 

«Mio padre è arrivato ad Avignone da Alcamo, in Sicilia. Era il 1959, lui aprì un’officina. Cinque anni dopo sono nato io. In paese mi hanno sempre chiamato “il figlio del carrozziere”. Anche adesso. Quando ho smesso con la Formula 1 ho pensato di acquistare una casa dove sono cresciuto. L’ho trovata nel 1994, attorno c’era un terreno incolto, 9 ettari con 4 di vecchie».

 

Voleva estirparle quelle vigne, Alesi.

 

«Poi il vignaiolo Henri de Lanzac, di Chateau de Ségriès, mi ha detto che ero pazzo. L’ho ascoltato ed ho scoperto un mondo. Lui si occupa del vigneto e della cantina».

Dalla bottiglia del 2003 esce un vino muscoloso e concentrato, come piace a Parker: riflessi arancio, profumo di spezie e ciliegie, al massimo dell’evoluzione. «Ho scoperto che fare bene il vino è costoso — racconta Alesi — ho acquistato le migliori barriques, i tappi in sughero più sicuri, facciamo solo 12 mila bottiglie di un unico vino: lo voglio nei posti migliori del mondo, come Dal Pescatore della famiglia Santini a Canneto sull’Oglio». Ecco la bottiglia del 2009. «Vale il doppio di un Bordeaux ma costa meno della metà», proclama Alesi. Il vino ha uno schietto color rubino, fa venire in mente la lavanda provenzale, odora di erbe selvatiche e di liquirizia. Meno concentrato, più docile della versione precedente.

 

«Con il vino ho imparato l’importanza dell’attesa — spiega Alesi — il contrario della velocità sulle piste. Il vino rimane nove mesi nelle barriques, poi aspettiamo l’evoluzione in bottiglia, 10-15 anni. E ho imparato l’umiltà, a lasciar parlare e fare chi ne sa più di me in questo campo. Non voglio diventare uno specialista, preferisco imparare dalla straordinaria gente del vino che ho conosciuto in questi anni».

Con il tempo ha imparato l’importanza del legame tra terra e vino. «Quando il mio amico Schumacher voleva acquistare un vigneto e mettere assieme le sue uve con le mie, gli spiegai che non si fa così». Sorride.

Sarà l’origine italiana, ma quando si parla di vignaioli di riferimento, il pilota guarda più al nostro Paese che al suo. «Il Franciacorta? Meglio dello Champagne, anche per questo ammiro Maurizio Zanella». Le bottiglie di Alesi che finiscono negli Stati Uniti sono 4.000. Quelle di Clos de l’Hermitage per il mercato britannico, 2.000. Le altre in pochi ristoranti europei. Non crede al biologico, Jean.

 

«Non deve essere una scelta obbligata, dipende dalle annate. Noi comunque usiamo meno zolfo e meno sostanze chimiche possibili. Accanto alle vigne ci sono 12 arnie da cui estraiamo 120 chili di miele l’anno, la testimonianza dell’assenza di inquinamento chimico».

Alesi mostra foto e video della sua casa e della sua vigna. Gli brillano occhi quando parla del figlio, il piccolo Giuliano, 14 anni, che si sta facendo strada correndo su un kart. E quando racconta l’etichetta ideata dalla moglie, una attrice giapponese. Nessun richiamo alla tradizione francese, solo le tre parole che vagano sul rettangolo di carta.

 

«Per anni il mio nome non c’era, poi mi hanno spiegato che non potevo evitarlo, così ho messo la mia firma, più nascosta possibile, sul retro». In fondo, come nel Nuvolari di Roversi messo in musica da Lucio Dalla (1976), «c’è sempre un numero in più nel destino» quando corre, anche tra le vigne, un campione.

 

 

( Fonte Divini.corriere.it )