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Scrive Ivan Cappello, sul vino Marsala e gli scioperi alla Florio degli anni ’50

Gentile Direttore,

Le voglio raccontare una storia bellissima che riguarda la mia città e quel vino che storicamente è stato un simbolo importante d’Italia, il Marsala.

 

Di recente ho scritto una lettera di sfogo contro lo stato di abbandono del consorzio e sulla poca voglia di rilanciare il brand Marsala ad eccezione di poche ottime realtà che ci stanno provando da soli e soltanto con le loro forze. Credo sia fondamentale mantenere un’attenzione alta su questo vino, non solo dicendo delle verità che fanno male a chi le scrive e a chi le legge, ma raccontando anche la storia e l’esempio che il Marsala è stato per la nostra città e per l’Italia intera.

Qualche anno fa ho avuto la fortuna di leggere un libro scritto dal preside Li Causi, che racconta in maniera lucida e dettagliata alcuni eventi pubblici successi dal ’48 al ‘60 a Marsala. Casualmente ho trovato in quel libro diversi capitoli che parlavano di episodi che riguardavano il vino e le cantine nel periodo post bellico, che corrisponde al momento storico in cui inizia il declino del vero vino Marsala.

Durante la seconda guerra mondiale, Marsala e i suoi stabilimenti vinicoli, sono stati pesantemente bombardati, le caratteristiche architettoniche delle cantine chiamati “Bagli” viste dall’alto sono state scambiate dalle forze armate anglo-americane come dei magazzini militari, e quindi pensarono bene di distruggerle. Purtroppo buona parte della produzione del vino Marsala venne persa, addirittura si dice che i marsalesi e gli stessi proprietari dopo il bombardamento cercarono di recuperare con mezzi di fortuna il vino Marsala che fuoriusciva delle botti di legno. Le migliori riserve storiche dall’inestimabile valore economico, storico e qualitativo vennero perse.

Questo causò non pochi danni all’economia locale, tanto che nel dopo guerra molte cantine si trovarono costrette a chiudere o a fare dei tagli di personale.

Il pres. Li Causi racconta il caso delle cantine Florio, allora la più grande realtà vinicola della città, e di come sia stata pesantemente colpita dai bombardamenti con danni non indifferenti. La proprietà della Florio, il gruppo Cinzano, pensò bene di trasferire buona parte della produzione dei liquori nello stabilimento piemontese, lasciando a Marsala soltanto la produzione del vino.

La direzione della Florio costretta dalla situazione aziendale un bel giorno, precisamente il 5 Maggio 1950, fece trovare fuori dai cancelli dello stabilimento un cartello con scritto i nomi dei lavoratori che sarebbero stati licenziati.

A questo punto della storia, arriva la parte che non ti aspetteresti mai. La storia prende una piega inaspettata agli occhi di noi che dopo 66 anni guardiamo al passato come un periodo di arretratezza o semplicemente perché adesso siamo tutti più avari di cuore.

Quello che succede ci fa capire la grande atmosfera di civiltà che c’era a Marsala e in Sicilia in quegli anni, bisogna dirlo e ricordarlo che Marsala era una città all’avanguardia nell’economia, nell’industria, nel sistema bancario e nel sociale.

Quel 5 Maggio, i 147 lavoratori che si erano visti abbandonati dalla ditta per fortuna trovarono la solidarietà dei loro colleghi, che erano stati graziati. Insieme cominciarono uno sciopero che dopo qualche giorno si trasformò in una occupazione dello stabilimento, ovviamente contro tutte le ritorsioni legali del caso.

In città tutti sapevano quanto era importante la Florio e cosa sarebbe potuto succedere se la Cinzano avesse abbandonato la città e l’indotto che aveva creato. Questa consapevolezza portò ad una mobilitazione generale contro la decisione della Florio. Cittadini, commercianti, pastifici, negozianti e anche le altre cantine (dirette concorrenti) protestarono intensamente consapevoli che avrebbero perso la grande capacità trainante che la Florio aveva sull’economia locale qualora avesse ridimensionato la produzione. Fu per questo motivo ed anche per il grande spirito di solidarietà e civiltà di alcune cantine che decisero di scioperare insieme ai lavoratori della Florio. Li hanno sostenuti in ogni modo: morale, economico e fisico. Le mogli dei lavoratori delle altre cantine a turno portavano ai lavoratori della Florio i viveri, in modo da permettergli di non lasciare l’occupazione dello stabilimento. Però c’è stato un evento che va oltre quello che vi ho raccontato, che mi ha sorpreso e mi ha fatto capire cosa era Marsala tanti anni fa. I lavoratori della Pellegrino in accordo con il loro titolare decisero di sostenere le famiglie dei lavoratori che occupavano lo stabilimento e quindi non percepivano nessun reddito, con una cifra simbolica finanziata per metà dai lavoratori e per metà dalla cantina Pellegrino.

Questa storia mi fa sentire orgoglioso del nostro passato, mi fa capire quanto eravamo grandi e soprattutto mi riempie di speranza perché niente è perduto. Se riuscissimo a ricordare chi eravamo e la capacità di collaborazione che avevamo, forse sarebbe più facile capire che la cooperazione tra tutti gli operatori del mondo del vino Marsala e non solo è l’unica strada percorribile.

Sappiamo che la storia è fatta di cicli e che nei momenti più floridi c’erano dei veri leader pieni di forza di volontà, di sacrificio e a cui non poteva prescindere una eccellente qualità intellettuale, a tal proposito mi auguro che si possa trovare la volontà di scrivere un presente che un giorno verrà letto come una grande storia da raccontare.

 Ivan Cappello

 

( Fonte Tp24 )