I cali produttivi maggiori sono stati registrati in Italia e in Spagna, mentre in Francia è cresciuta, facendo dell’Hexagone il primo produttore al mondo. Anche i consumi non sono mai stati così bassi da 30 anni a questa parte
AGI – Nel 2023 siccità estrema, gelo e piogge hanno fatto crollare la produzione mondiale di vino del 10%, che ha toccato così il suo livello più basso dal 1961, ma non tutti i paesi sono stati colpiti allo stesso modo. I cali produttivi maggiori sono stati registrati in Italia e in Spagna, mentre in Francia è cresciuta, facendo dell’Hexagone il primo produttore di vino al mondo. Nel contempo, anche i consumi di vino non sono mai stati così bassi da 30 anni a questa parte. I dati, resi noti dall’Organizzazione mondiale del vino (OIV), indicano che in tutto i viticoltori hanno prodotto 237 milioni di ettolitri, il risultato più basso degli ultimi 62 anni.
La vendemmia ha sofferto soprattutto in Italia (-23% con 38 milioni di ettolitri) e in Spagna (-21% con 28 milioni di ettolitri), mentre è leggermente aumentata in Francia (+4% con 48 milioni di ettolitri), diventata di gran lunga il primo produttore di vino al mondo. Questo crollo è il risultato diretto di “condizioni ambientali estreme” che hanno colpito sia l’emisfero settentrionale che quello meridionale, ha dichiarato il direttore dell’OIV, John Barker.
Il raccolto è diminuito dell’11% in Cile, del 26% in Australia e del 10% in Sudafrica, i tre maggiori produttori dell’emisfero meridionale. Con l’approssimarsi della fine del raccolto, la produzione in questa zona dovrebbe riprendere del 5% nel 2024, secondo le prime stime dell’OIV. Per quanto riguarda il consumo, l’anno scorso è sceso del 3%, a 221 milioni di ettolitri, il livello più basso dal 1996, confermando una tendenza al ribasso dal 2018, a eccezione di un balzo nel 2021 dovuto all’abolizione delle principali restrizioni legate alla Covid.
Questa tendenza è in parte legata all’inflazione, che ha aumentato i costi di produzione e quindi il prezzo di una bottiglia o di un cubo di vino, riducendo al contempo il potere d’acquisto dei consumatori. Anche in Cina i consumi hanno subito un forte calo (-25%), a causa del rallentamento dell’economia. La diminuzione della domanda è anche “determinata dai cambiamenti demografici e di stile di vita.
Ma è difficile stabilire con precisione in che misura il recente calo dei consumi sia un riflesso del mercato nel breve o nel lungo periodo”, ha sottolineato Barker. Su base pro capite, i maggiori consumatori sono i portoghesi, i francesi e gli italiani. Le esportazioni di vino sono diminuite del 6% in termini di volume, raggiungendo il livello più basso dal 2010, con un calo di bottiglie, cubi e vini sfusi usciti dal Cile, dal Sudafrica e dalla Francia.
Secondo l’OIV, alcuni acquirenti potrebbero essere stati scoraggiati dal prezzo medio delle esportazioni, salito a 3,62 euro al litro, un record, e superiore del 29% rispetto al 2020. La superficie destinata alla produzione di vino o di uva da tavola è diminuita per il terzo anno consecutivo, dello 0,5% nel 2023, attestandosi a 7,2 milioni di ettari. In Francia, dove il governo ha sovvenzionato programmi di distillazione ed estirpazione per far fronte alla sovrapproduzione in alcune regioni, la produzione è diminuita dello 0,4%. In India, invece, la superficie è aumentata del 3%, facendo del Paese asiatico uno dei dieci maggiori vigneti al mondo.
Secondo Barker, il calo della produzione in Italia – al livello più basso dal 1950 – non dovrebbe tradursi in un abbandono massiccio di ettari di vigneto. Tra piogge che hanno favorito la comparsa della muffa nelle regioni centrali e meridionali, grandine e alluvioni, la flessione “è stata chiaramente legata alle condizioni meteorologiche”, e quindi momentanea, ha affermato il responsabile dell’OIV. I flagelli che hanno colpito le viti quest’anno sono molto diversi tra loro e l’influenza del cambiamento climatico non è stata stabilita in tutti i casi.
Fenomeni come l’artificializzazione del suolo in Italia, ad esempio, potrebbero aver aggravato le conseguenze delle piogge. Resta il fatto che “la sfida più grande che il settore deve affrontare attualmente è il cambiamento climatico che sta colpendo duramente la vite. Una coltura perenne spesso collocata in aree vulnerabili”, ha concluso Barker.
( Fonte Agi.it )