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I Crus del Barolo

E’ con vero piacere che oggi ospito questo articolo/racconto di Lorenzo Tablino, enologo a Serralunga d’ Alba, presso le Cantine Fontanafredda per oltre 40 anni.

( A sx Tablino ; al centro il sottoscritto ; a dx una produttrice piemontese )

Tablino è profondo conoscitore delle Langhe, le conosce palmo a palmo in ogni piu’ piccolo dettaglio.

Buona lettura

Roberto Gatti

 

 

 

 

 

Ecco qualche considerazione in merito a ruota libera sul termine crus riferito alla zona di origine del Barolo. Preciso subito che tutti i comuni della zona del Barolo hanno i loro crus, ben noti da tempo.

Le uve di questi vigneti erano sempre contese, spesso promesse l’anno precedente, quasi sempre giocate sul rialzo del prezzo, tra l’ambizione neanche tanto velata di possedere qualcosa di speciale.

Inoltre, i crus del Barolo, a partire dall’inizio anni settanta sono stati, ben evidenziati sulle etichette dei Barolo, pur non essendo la cosa del tutto ortodossa.

Una domanda curiosa potrebbe essere questa: perché un vigneto o una sottozona, nel tempo diventano famosi? Rispondere non è facile. Per nulla. Se il principe di Conti non avesse fatto una guerra per donare alla sua favorita quel terreno nel comune di Vosne Romanèe, la vigna denominata “Romanèe Conti” sarebbe oggi così celeberrima? Se al cancelliere Metternik non avessero regalato Scloss Jhoannisberg per i servizi resi al congresso di Vienna, quella collina avrebbe rappresentato, per anni, l’eccellenza del Reno? Restando in Piemonte, il cru Cannubi, nella zona del Barolo, è famoso sin dal 1700, Rabaja a Barbaresco, Rovereto a Gavi, Sant’Antonio a Canelli e valle Bagnario a Strevi sono noti da oltre cento anni.

Ma torniamo alla domanda iniziale: i veri motivi per cui un vigneto, una sottozona diventano celebri? Se gli enologi della Martini e Rossi, negli anni quaranta, non fossero andati a Moncucco ad acquistare uve Moscato, se il direttore di Fontanafredda non avesse scelto le uve moscato di San Siro di Colosso, nel 1955, oggi quei terroir sarebbero cosi noti e ricercati?

Una regola potrebbe essere questa: dove hanno acquistato, da sempre, le uve i mediatori e i produttori. Dove la domanda supera l’offerta, quindi si spuntano i prezzi più elevati.

Altra regola, senz’altro piu’ tecnica e oggettiva: l’ideale esposizione del vigneto (il classico sorì a sud-ovest), le somme termiche, la natura particolare del terreno, calcare e microelementi in primis per il Barolo, altre condizioni microclimatiche. Sotto questi aspetti l’imponente lavoro di” Zonazione del Barolo” svolto da diversi organismi coordinati dalla Regione Piemonte (1994-2000) potrebbe essere senz’altro utile.

Trenta vigneti, in rappresentanza di quindici sottozone, sono stati selezionati dopo attenti rilievi a carattere pedoclimatico; si è proceduto quindi alla vinificazione separata delle uve presso la scuola enologica di Alba.

Parallelamente alla maturazione del Barolo è iniziata l’analisi chimica dei suoi componenti, in particolare i polifenoli e le sostanze volatili, al fine di valutare le singole diversità delle sottozone e l’evoluzione di questo vino nel tempo.

Ultimo round, il più importante e difficile, ovvero la valutazione delle caratteristiche sensoriali: sarà confermata la tradizione locale che vuole il Barolo delle Brunate di La Morra diverso da quello di Vigna Rionda di Serralunga? Ma diverso in che cosa?

 

Anche se non si hanno mai certezze nel definire la presunta qualità delle uve di un vigneto. Un esempio classico sono le annate siccitose e molto soleggiate, come il 2003. Tutti i ragionamenti tecnici vanno a farsi benedire; scopri, perplesso, che le esposizioni a nord – est non sono poi così male.

Sulla descrizione e valutazione dei crus del Barolo ci sono anche stati studi e ricerche in merito che sono e potrebbero diventare utili: Lorenzo Fantini e Vignolo Lutati, hanno lasciato pregevoli pubblicazioni, seppur di carattere generale(1885-1928), Renato Ratti ha pubblicato nel 1985 una dettagliata cartina delle sottozone del Barolo, oggi, comunemente, accettata da enologi e produttori, mentre Slow Food editore, nel 1990, ha pubblicato l’”Atlante delle grandi vigne di Langa”.

 

 

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Iniziamo ora, senza alcuna pretesa di completezza, la descrizione, a ruota libera, sui vari crus del Barolo: curiosità, anedotti, personaggi nobili e salariati, mediatori e commercianti.

E ancora: vendemmie strepitose e vinificazioni che non puoi dimenticare, momenti importanti e fatti purtroppo tragici.

Tutto correlato ai grandi Crus del Barolo.

Iniziamo con Serralunga d’Alba, quelli che conosco meglio.

Ne ho subito sentito parlare dal mediatore Torta, era la vendemmia 1969, il primo anno che lavoravo nelle cantine di Fontanafredda.

Erano le uve nebbiolo provenienti dai crus Marenca, Rivette, Vigna Rionda, Lazzarito, Gabutti, Prapò, La Rosa, Parafada, Cucco, Ornato.

Filari abbarbicati sui tre grandi costoni di Serralunga che dalla sommità della collina degradano verso la Talloria di Castiglione.

Eccellenti esposizioni, in gran parte a sud ovest, terre ricchissime di calcare.

Quante storie su questi crus! Antiche e recenti. Si racconta di Pio Cesare che incontrando di Sabato al mercato di Alba qualche amico enologo, lo invitasse nella sua cantina per assaggiare il Barolo. A fronte di giudizi particolarmente lusinghieri su qualche botte, allargando le braccia esclamava: E’di Serralunga! Anni dopo, la famiglia Pio, acquisì, dai Gancia, il famoso crus Ornato, oggi sono gli unici proprietari. “Quando portavamo le uve a Fontanafredda il direttore Bressano le pagava due lire in più degli altri comuni”. Così ricorda un viticoltore della frazione Gabutti, in tante vendemmie negli anni quaranta. Nel 1996 le medesime uve spunteranno il prezzo piu’alto, a mia conoscenza, per i nebbioli: 90000 vecchie lire al miriagrammo furono pagate da una nota cantina di Monforte d’Alba.

Tutti questi crus di Serralunga furono per secoli di un solo proprietario: i Marchesi di Barolo.

Intorno al 1920, passarono per un anno, al conte Gastone di Mirafiore, il proprietario di Fontanafredda, che in tal modo, possedeva, “soltanto”, il 20% di tutti i vigneti della zona d’origine del Barolo. Un’impossibile utopia, oggi. In seguito, iniziò un grosso frazionamento e molti viticoltori, a prezzo di enormi sacrifici, divennero proprietari. Alcune vigne, tra le migliori in assoluto, li acquisì il dottor Lanzavecchia, un valente chimico, proprietario anche di alcune cantine. In seguito cedette quei meravigliosi vigneti ad Angelo Gaia, attuale proprietario.

Segnaliamo ancora che furono i viticoltori di quei crus di Serrlaunga, gli ultimi ad abbandonare, la sottovarietà di nebbiolo Michet poco produttiva, ma di eccellente qualità. .

 

Negli anni settanta l’andamento dei costi di produzione investì anche l’agricoltura, molti contadini, viticoltori a Cabutti, Vigna Rionda, Ornato, Parafada, La Rosa a malincuore, furono costretti ad utilizzare per i reimpianti la sottovarietà Lampia di maggior resa produttiva.

 

Spostiamoci a Barolo. Il nome ha tre significati. Un comune, un vino docg un territorio vocato.

(Il paese di Barolo con il castello Falletti )

Nel comune di Barolo il cru storico ha un solo nome, ormai noto e famoso: Cannubi. Il simbolo dei crus del Barolo. Una vecchia e famosa etichetta riporta sbiadita una data: “Cannubi 1751”.

Il Barolo non era ancora nato, per nulla, Cannubi si. E’ “il cuore del Barolo” dove” tutti acquistano le uve”, perché la composizione del terreno è poliedrica; infatti, si confondono e si mescolano terreni diversi del periodo tortoniano ed elveziano. Con una ricchezza incredibile di microelementi.

Cannubi si contende, con i crus di Serralunga sopradescritti, il merito di aver fornito ai marchesi Falletti le uve per il famoso Barolo inviato a casa Savoia a Torino.

D’altronde erano un’unica proprietà feudale.

Da tempo i maggiori produttori di vino Barolo hanno acquisito nel tempo una vigna in questa zona.

Qua nell’800 acquistavano uve Fissore e i barolisti di Bra, imitati in seguito da molti mediatori che cercavano uve per le grandi cantine, che storicamente vinificavano Barolo fuori della zona d’origine.

Sul finire del secolo scorso una vigna a Cannubi fu acquistata dalla ditta Gancia, per la cifra di 800 milioni di vecchie lire a ettaro.

Oggi Cannubi si è un po’ allargato, unendosi con altre sottodenominazioni: Muscatel, Boschis, Valletta, San lorenzo. Storicamente le vigne di Cannubi erano quelle comprese tra le cascine Viganò e Ferrero.

A Barolo troviamo altri ottimi crus: Sarmassa, Le Coste, Monrobiolo, Via Nuova e Bricco Viole. Quest’ultimo è avvolto da una leggenda.

Siccome dura tutt’ora e non finirà mai descriviamola.

Bricco Viole è citato in un vecchio quaderno dai cantinieri dell’Opera Pia Barolo: mescolavano le uve che provenivano da quel vigneto con quelle di Cannubi per migliorare la qualità del Barolo.

Ovviamente erano considerate ai massimi livelli.

Brunate e Cerequio sono crus importantissimi. Ma parlerò con quelli di La Morra. Sono presenti in entrambi i paesi.

Termino con Paiagallo, un bel sorì matinèe.

Proprietà di casa Savoia, le uve erano vinificate presso le cantine dell’agenzia di Pollenzo.

Oggi è della famiglia Farinetti.

 

Tra i beni sostenuti dal patrimonio privato di Vittorio Emanuele.

Il “crocesegnato della real vigna di Barolo” si legge nei documenti dell’Archivio di Stato di Torino – 1864. Indica semplicente il “vignolante conduttore” Si tratta di un appezzamento,

Situato in località Paiagallo nel comune di Barolo. La proprietà in seguito passò alla casa vinicola E. di Mirafiore e dal 1932 ai “Tenimenti di Barolo e Fontanafredda”. Un vigneto antico! Infatti, presso l’Archivio di Stato di Torino ne esiste una ricca documentazione storica

 

Terminiamo il nostro viaggio tra i crus del Barolo, iniziando dal comune di Monforte d’Alba.

Se chiedi ad un enologo dove nasce il Barolo più colorato la risposta è univoca, immediata: a Monforte. Per la particolare composizione del terreno: nato oltre 30 milioni di anni fa per sollevamento del mare nel periodo miocenico- terziario.

Ma la composizione del terreno nelle zona del Barolo è varia: a Monforte i terreni appartengono al periodo cosiddetto dell’Elveziano- ricco di marne grigie -brune molto compatte. Ma la caratterizzazione più importante sono i microelementi: nella sottozona di Perno si riscontrano i massimi valori di fosforo e potassio.

 

Bussia è un cru famoso, da almeno cent’anni.

Essendo molto vasto è suddiviso in varie sottozone: Soprana, Sottana, Munie, Pugagne, Gabutti, Romirasco e Bricco Cicala. Quest’ultimo da oltre quindici anni è indicato anche come Gran Bussia. Anche la famosa Vigna del Colonnello, fa parte della Bussia. Tra questi celebri filari racconta una consolidata tradizione locale, pare sia nato il primo Barolo. E’ una leggenda, in quanto non esiste alcuna documentazione storica, resta pure il mistero su chi sia stato questo colonnello. Forse un militare francese al seguito di Napoleone nella prima campagna d’Italia? Quello che lasciò molta polvere da sparo in una vigna di Monforte, denominata il seguito “Pian della polvere”, anch’esso un grande cru.

Altri crus famosi: Pan Romualdo, noto anche per la mitica Barbera, Gramolere, Ginestra, già citata dal Fantini e Ravera. Ceretta e Santo Stefano di Perno con Gavarini sono crus bellissimi anche sul piano paesaggistico.

A Castiglione Falletto sono famosi Rocche esposto a sud – est e Villero verso Monforte. Ambedue danno origine a Barolo eccellenti, in grado di completarsi a vicenda. Profumato il primo, strutturato il secondo: un melange d’uve perfetto.

Non si può parlare di Castigione Falletto senza citare Rivera, “il cru del sindic” infatti, era del compianto sindaco Arnaldo Rivera, il fondatore e primo presidente della Cantina Sociale “Terre del Barolo”. Ricordo ancora il cru Parussi, da quelle vigne giungevano a Fontanafredda bigoncie di meravigliose uve nebbiolo – sottovarietà Michet – in assoluta purezza.

Andando verso La Morra entriamo nel terrior del Barolo chiamato Tortoniano. Qui la natura del terreno cambia: minor tufo e calcare, maggior presenza di sabbia e talora vene di gesso.

Il paese possiede crus di elevato valore: Brunate e Cerequio.

Imbattibili quando in un Barolo cerchi, soprattutto, eleganza, finezza, armonia.

Marco Ferrero è uno dei miglior assaggiatori di Barolo che conosco; per quasi quarant’anni ha vinificato i nebbiolo dei vigneti di Cerequio. Un testimonial di alto profilo professionale.

Ascoltiamolo: “Cerequio ha nobiltà storica, dona dei Barolo meno strutturati e tannici di Serralunga. Nonostante ciò, grazie alla particolare ricchezza di microelementi del terreno, il vino è buono subito, anche dopo 10 anni, persino dopo trent’anni”. Sintesi migliore non poteva fare.

Cerequio è anche noto per un grave eccidio: sull’aia di una cascina nel 1944 vennero, con un inganno, trucidati dalle truppe tedesche ben 18 partigiani.

A La Morra troviamo anche Roncaglie, Arborina e Monfalletto. Quest’ultimo crus, l’antico mons Fallettorum, è dominato dal maestoso cedro del Libano.

Si racconta che rappresenti il centro geografico della zona del Barolo.

 

Fu messo a dimora nel 1858. Citiamo ancora Rocche dell’Annunziata, ove gia vinificavano i monaci benedettini nel sec XII; poco distante, precisamente, nel cru denominato Conca dell’Annunziata, il grande Renato Ratti costruì la sua cantina metà degli anni sessanta del secolo scorso.

Ci spostiamo verso Verduno, qui troviamo un vero crus di razza: Monvigliero.

( Foto – Fonte Lavinium )

Noto da molto tempo, infatti “non si discute” perché “ non è secondo a nessuno “. Così ammoniscono con orgoglio e sicurezza i viticoltori di Monvigliero. Sorprendono i suoi eccellenti profumi correlati ad un terreno particolare ricco di silicio e gesso. Questo cru fornì il Barolo alla famosa spedizione del Duca degli Abruzzi al polo Nord sul finire del secolo XIX.

Ricordiamo anche i crus San Lorenzo e Massara. Quest’ultimo interamente di proprietà degli eredi del Cav. G. Burlotto.

Novello ha un solo cru: Ravera. Cinque giornate di marne bianche per dei Barolo di alto pregio. Oggi, piccole e intraprendenti cantine di Novello cercano di creargli intorno un’immagine adeguata.Anche Roddi fa un solo cru: bricco Ambrogio.

Un sorì di mezzogiorno posto tra i Ravinali e la frazione Fornaci.

Paolo Orlandi, titolare della azienda vitivinicola “La Ca” da alcuni anni cerca di valorizzato con vinificazioni separate.

“Dai nebbioli di bricco Ambrogio ottengo un Barolo di grande eleganza olfattiva, con una struttura che sorprende per l’equilibrio. E’ paragonabile ai grandi barolo dei crus di La Morra e Verduno”.

Terminiamo citando due cru: Sorano nel comune di Diano ( a scavalco con Serralunga d’Aba). Sono 4 ettari con esposizione a sud est.

Castello a Grinzane Cavour. Un cru storico, già citato dal Fantini nell’800.

Al termine del nostro percorso il lettore giustamente si porrà una domanda.

Dove si trova il miglior Barolo? Sul piano organolettico ovviamente.

Quello che per citare Giorgio Bocca: E’ un colpo di cannone in bocca”

Facile, immediata la risposta: dappertutto! Basta andarlo a cercare.

Ogni comune, ogni crus, ogni produttore riserverà gradite sorprese.

Anche se anziani barolisti insistono, ancora oggi, nel ritenere il miglior Barolo quello derivante dall’assemblaggio di uve o mosti provenienti da comuni o crus diversi. Ho accennato al caso storico di Castiglione Falletto. Personalmente non sono d’accordo: la specificità dei caratteri organolettici derivante dalla vinificazione in purezza di un singolo cru e’ una valenza qualitativa insostituibile.

 

 

 

 

 

 

Il parere di Claudio Rosso ex Presidente Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero.

 

 

Dopo anni di indagini impegnative il Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero, in collaborazione con i Comuni della zona di produzione, la Provincia di Cuneo e l’Enoteca Regionale del Barolo, ha recepito le segnalazioni dei produttori e ha proposto la delimitazione dei confini delle menzioni geografiche aggiuntive del Barolo. Come già avvenuto per il Barbaresco  

Il Presidente del Consorzio, Enol. Claudio Rosso, sottolinea la rilevanza del risultato ottenuto: “Delimitare le menzioni geografiche aggiuntive del Barolo è stato un compito assai arduo, raggiunto con fatica: è stata necessaria una forte volontà e determinazione per giungere a un accordo che tenesse conto delle tante e diverse esigenze espresse dai produttori”.

A tale scopo in ogni comune della zona di origine si sono svolte apposite riunioni tra viticoltori. Inevitabilmente sono nate discussioni e posizioni divergenti. Mediare con saggezza è la parola d’obbligo in tali casi.

Prosegue Rosso “ Siamo orgogliosi di avere conseguito l’obiettivo che ci eravamo prefissati, lo riteniamo un successo importante, che gioverà sia i produttori, sia i consumatori.

 Le menzioni geografiche aggiuntive sono aree delimitate all’interno delle zone di produzione. Tanti appassionati conoscono quelle più famose, ma in realtà tutto il territorio di produzione del Barolo è mappato con nomi precisi. A differenza dei crus francesi, le menzioni geografiche aggiuntive non connotano vini di qualità superiore, bensì indicano l’origine più precisa dei vini prodotti e commercializzati.

L’introduzione delle menzioni geografiche aggiuntive nei Disciplinari di produzione consente di definire sempre meglio la piramide qualitativa, di esaltare il legame tra prodotto e territorio, di segmentare meglio il mercato e di avere la massima chiarezza in etichetta a vantaggio del consumatore”.

 

 

( Fonte Lorenzo Tablino )