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“I vini di Bordeaux troppo cari? Una Ferrari non può costare come un’auto qualunque”

Parla Blandine de Brier Manoncourt, proprietaria di Château-Figeac: “Ci sono grandi marchi che non sono mai stati buoni ed economici come oggi”. Sull’Italia: “È un mercato importante, ma basta concorrenza, bisogna collaborare”

 

Blandine de Brier Manoncourt, proprietaria di Figeac (Foto @Andrea Liverani)

 

 

Quella di Château-Figeac, una delle cantine più prestigiose di Bordeaux, è una leadership al femminile. Hortense Idoine Manoncourt è la presidente, Marie France Manoncourt l’affianca nel management insieme con Blandine de Brier Manoncourt, tre donne esponenti della famiglia che è proprietaria di Château-Figeac dal 1892. “Ma sulla parità di genere – dice Blandine – nel mondo del vino c’è ancora molto da fare”.

Un marchio storico (quest’anno compie 130 anni) quello di Figeac che, come tutto il mondo che ruota intorno a Bordeaux, vede nell’Italia un mercato promettente e su cui investire di più, perché il nostro Paese è ricco di produttori capaci di fama internazionale e di wine lover competenti e curiosi, potenziali nuovi clienti, sin dalle generazioni più giovani.

“Bisogna spiegare loro che a Bordeaux c’è un’ampia scelta di gamme, a prezzi molto diversi, a un livello di qualità incredibile”, dice Blandine de Brier Manoncourt. Il Gusto l’ha intervistata nelle scorse settimane, in occasione dell’evento “Bordeaux en primeurs 2021” organizzato da Crus et Domaines de France a Verona.

È approdato infatti per la seconda volta in Italia, promosso da Famille Helfrich, famiglia alsaziana di negociant e produttori, l’evento (la degustazione in anteprima) che ogni primavera anima i più grandi châteaux della città francese che aprono le loro porte ad acquirenti, importatori, rivenditori ed altri esperti del mondo del vino per far degustare i campioni dell’ultima annata, direttamente dalle barrique.

Blandine de Brier Manoncourt, insieme con Gabriele Gorelli, primo e per ora unico Master of Wine italiano, ha condotto due verticali – con le annate 2009, 2019, 2021 – del prestigioso Premier Grand Cru Classè Château-Figeac. Ne abbiamo approfittato per dialogare con lei del futuro dei vini di Bordeaux e del rapporto con l’Italia.

 

“Bordeaux en primeurs 2021”, organizzato da Crus et Domaines de France a Verona

Centotrenta anni, una nuova cantina. Uno stile riconoscibile nel mondo. Che cosa vuol dire essere alla guida di una delle più importanti maison di Bordeaux e del mondo del vino internazionale, con una famiglia che tramanda responsabilità e tradizioni?

“Figeac produce un Premier Grand Cru Classè, uno dei grandi vini di Bordeaux. È una responsabilità entusiasmante, che ci impegna nei confronti di coloro che amano Figeac, dei professionisti che scelgono il nostro vino, dei nostri collaboratori e delle nostre famiglie. Ci vuole umiltà. Niente è mai garantito, ci sono sempre nuove sfide. Ed è Château-Figeac a guidarci, non il contrario”.

La vostra è una leadership prevalentemente al femminile, c’è un valore in questo? In un momento storico in cui si parla molto di parità di genere sul lavoro in particolare nell’imprenditoria, ritiene che sia importante battersi per scardinare alcune barriere patriarcali stratificate da secoli? 

“La nostra è una realtà famigliare e questa generazione è rappresentata da donne. È stato un processo naturale. Nostro padre aveva già previsto insieme a noi che una di noi gli succedesse nelle vesti di presidente, e abbiamo scelto mia sorella Hortense Idoine Manoncourt. Siamo tre donne particolarmente coinvolte nella gestione di Château-Figeac, ma in azienda, direttore generale e winemaker sono uomini. Siamo stati tra le prime realtà di Bordeaux ad assumere una donna in cantina, 25-30 anni fa.

Scegliamo i nostri collaboratori in base alla loro professionalità: guardiamo prima di tutto alle competenze e selezioniamo quella che per noi è la persona giusta, al posto giusto…  Ho l’impressione che in Francia ci siano molte più donne di prima che lavorano nel mondo del vino, con responsabilità e funzioni di ogni genere, ma è comunque un ambiente ancora abbastanza maschile, ci sono ancora dei progressi da fare”.

Una degustazione nella cantina Château-Figeac (Foto @Virginie Ohrensstein)

 

 

Che posto occupa l’Italia nell’export e nella distribuzione dei suoi vini? 

“L’anno scorso Château-Figeac è stato distribuito in più di 100 Paesi. L’Europa rimane il nostro mercato più grande con circa il 45% (in volume), ma l’Italia è ancora un mercato più piccolo rispetto al resto d’Europa e crediamo che abbia un vero potenziale di espansione perché ha una forte tradizione enologica, è un Paese produttore che vanta grandissimi intenditori. Riteniamo che possa occupare un posto più importante nel nostro export”.

Che novità hanno portato quest’anno le degustazioni en primeur, preoccupazioni e previsioni? 

“È sempre un momento di intensa riflessione e incertezza, fino all’ultimo minuto. Il periodo dei Primeurs è emozionante e di primaria importanza perché presentiamo il vino dell’ultima vendemmia che viene giudicato, valutato e questo influenza il successo della commercializzazione che avviene subito dopo.

Devo sottolineare che durante il periodo di degustazione di Primeurs riceviamo circa 2000 persone a Château-Figeac, solo professionisti. Poche settimane o mesi dopo, si tiene la vendita en Primeurs; vendiamo solo ai commercianti che operano nella Place de Bordeaux, come Crus et Domaine de France di Famille Helfrich, che distribuiscono i nostri vini in tutto il mondo.

Lavoriamo con costanza tutto l’anno per preparare la vendita en primeurs. È un lavoro di fiducia e di partnership commerciale. La “Place de Bordeaux” è un sistema complesso, a volte difficile da spiegare all’estero, ma noi siamo fedeli ad esso perché lo riteniamo strategico. A volte vendiamo i nostri vini Château-Figeac en primeur in meno di un’ora…  Poi quello che ci interessa è che sia fluido e che i nostri vini finiscano presto nelle cantine dei grandi appassionati e dei grandi ristoranti. Restiamo vigili rispetto al contesto macroeconomico”.

Come valuta l’ingresso crescente degli italiani nella Place de Bordeaux? 

“Gli italiani hanno capito da tempo le potenzialità del nostro sistema tradizionale, che è unico al mondo e funziona bene, con una catena di professionisti altamente competenti. Non sono gli unici, alcuni americani ci sono già. Poi, se guardiamo alla storia, ci sono realtà che producono grandi vini italiani (Ornellaia, Sassicaia, Massetto, ecc.) che hanno avuto al vertice persone che hanno studiato a Bordeaux”.

Il Bordeaux è il vino più quotato al mondo, ma negli ultimi anni il suo primato sta vacillando (la quota di mercato fine wines occupa il 30%) per la concorrenza interna di Borgogna e Champagne, e per quella esterna di Super Tuscan e Napa. Qual è il vino concorrente più temuto in questo periodo? 

“Il mondo è vasto e c’è posto per tutti i buoni vini! E la competizione ti rende più intelligente, nel senso che costringe le persone a non fermarsi, a lavorare per migliorarsi. Questa competizione non è nuova. Oltretutto nella cantina della nostra famiglia, non ci sono solo Bordeaux…”.

 

( Fonte La Repubblica )