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LA FORZA DELLA TRADIZIONE: IL TESTAROLO

Un piatto realizzabile solo con uno strumento antico

 

Specialità tipica della Lunigiana, ancora oggi può essere confezionato solo usando uno strumento del passato, il testo, una specie di forno ambulante, un tempo di terracotta, oggi di ghisa. Ma la sostanza non cambia. Chi però abbia tentato di sostituirlo, ha miseramente fallito.

È abbastanza naturale quando ci si trova di fronte a una specialità del tutto diversa dal consueto, porsi una serie di domande affinché si possa capire quali siano le origini della specialità stessa e soprattutto in quale modo essa venga realizzata.

Gli interrogativi si sprecano di fronte al piatto forte della cucina lunigianese, per molti solo pontremolese, il testarolo, una grossa piadina azzima, tutta bucherellata che viene offerta opportunamente scottata a pezzettoni in acqua bollente e condita assolutamente con un pesto grezzo, solo lontano parente dell’omologo ligure.

Alla base di tutto lo strumento di cottura, nella lunga locale il testo, una teglia complessa, composta dal piano inferiore (il sottano), in cui viene versata la pastella per la cottura, e un coperchio (il soprano) la cui funzione è quella di mantenere il calore all’interno della camera di cottura che si viene a formare.

 

Un processo in apparenza semplice, in realtà un’operazione del tutto particolare in quanto non può essere fatta in casa, ma o si opera all’aperto, oppure occorre disporre di un’apposita stanza, usuale nelle case di campagna, nota come metato o gradile o essiccatoio, in cui in passato veniva costantemente tenuto acceso un fuoco, più spesso proprio in funzione della cottura dei cibi.

 

Per fare il testarolo, occorre dare molta forza al fuoco perché sia il sottano che il soprano dovranno prima di tutto essere messi a contatto diretto con la fiamma fino a che abbiano raggiunto il calore giusto per provocare la cottura della pastella che verrà immessa con una tecnica tutta particolare fino a coprire uniformemente il piano di cottura.

 

Subito dopo si chiude con il soprano, che verrà lasciato il tempo necessario per permettere all’impasto di cuocere quanto dovuto, ovvero fino a proporre un disco ambrato, pieno di fori provocati dalla evaporazione violenta dell’acqua contenuta nella pastella, fondamentali per altro per agevolare la imminente rapida bollitura. Su tempi e modi, di norma, insiste il più assoluto segreto che ogni produttore custodisce gelosamente.

 

Il risultato finale di tanto impegno, però, è una delizia che non manca di attirare una marea di appassionati estimatori che salgono appositamente in Lunigiana proprio per degustare il testarolo, consapevoli che, per potere avere un saggio adeguato delle sue reali proprietà, occorre andare laddove esso viene realizzato.

 

Infatti, per quanti tentativi siano stati fatti per sostituire il testo, nessuno ha dato i riscontri attesi, fino a prendere atto, inesorabilmente, che se si vuole avere un vero testarolo occorre usare il testo.

 

Diffidare quindi delle imitazioni e magari approfittare per scoprire una terra che, oltre al buon cibo, potrà offrivi anche tante altre delizie di tutti i tipi.

 

( Fonte Food&Wine )