Home News La nuova era della sazietà

La nuova era della sazietà

 

Ormai viviamo assediati dal “cibo”. Una sorta di riscatto, di nemesi, per un Paese che ha radici contadine. Ha conosciuto la fame e, comunque, ha praticato la sobriet come virt necessaria. Fino a cinquant’anni fa. Tanto che le generazioni pi anziane, ma anche la mia (sono cinquantenne), ne serbano memoria. Oggi, invece, viviamo nell’epoca della saziet.

Ce ne accorgiamo, in particolare, d’autunno, la stagione del gusto. Del tartufo. La stagione delle guide “al mangiare e al bere bene”. Celebrata dal “Salone del gusto” di Torino. Un evento di successo. Che consacra “l’era dell’uomo che mangia”. Caratterizzata dall’onnipresenza e dalla polisemia del cibo. Dalla pluralit dei significati che gli vengono attribuiti.
I risultati dell’Osservatorio sul capitale sociale di Demos-Coop, pubblicati oggi su “La Repubblica”, ne forniscono un repertorio ampio, che noi ci limitiamo a riproporre, per sommi capi.

1. Il cibo occasione di socialit. Visto che il 60% degli italiani si reca a mangiare fuori casa una volta alla settimana (ma quasi il 30% almeno una volta alla settimana). Otto su dieci “per piacere”, piuttosto che per lavoro o per altri impegni. I giovani e i giovanissimi pi degli altri. Impossibile, ormai, pensare di incontrarsi, “a prescindere” da esso. Di sera: davanti alla pizza (75%), oppure al ristorante (70%), in trattoria (35%). Lo stesso rito di “andare a trovare gli amici” divenuto implausibile, senza una cena. E l’appuntamento a fine lavoro, a fine giornata, per scambiare una parola, un’idea, con i soliti noti (o ignoti, non importa): davanti all’aperitivo e a stuzzichini, che, alla fine, ti fanno passare la fame.


 



2. Il cibo come attivit del tempo libero e come incentivo al turismo. Un italiano su quattro, nell’ultimo anno, ha partecipato a degustazioni, uno su dieci ha viaggiato seguendo itinerari enogastronomici. Tuttavia, ampia la quota di persone che viaggia portando con s, oltre alla guida turistica, quella ai ristoranti, alle osterie, alla gastronomia locale. Anzi: ormai non c’ guida turistica che non preveda una sezione di consigli su dove pranzare o cenare, acquistare prodotti della tradizione enogastronomica.

3. Il cibo come spettacolo e comunicazione. Visto che una persona su due afferma di aver seguito programmi televisivi dedicati alla cucina o al vino. Ogni giorno, a ogni ora, in ogni canale. Dovunque, persone che degustano, cucinano, provano ricette nuove, presentano piatti o prodotti raffinati, tradotti fedelmente dalla tradizione, oppure reinventati. Le trattorie, i ristoranti, i bar: hanno fornito spunto perfino a reality show. I cuochi e i gourmet. Tutti “chez Vespa”. A discutere con politici, attori e intellettuali di politica, spettacolo e cultura. Mentre i politici, gli attori e gli intellettuali discutono, con competenza, di ristoranti e di vini. E talora – come fece D’Alema, a Porta a Porta – cucinano, con sapienza.

4. Il cibo come cultura. Celebrato da specialisti riconosciuti come “intellettuali” tout-court. Al di l dei recinti di settore. Come Carlo Petrini, ispiratore del “mangiare lento”, lo “slow food”, marchio di un movimento socioculturale di valorizzazione delle cucine locali, oltre che di serie di iniziative (e di ristoranti) di successo. Oppure Davide Paolini, artefice della ri-scoperta dei “giacimenti enogastronomici” sparsi sul nostro territorio. Ma la qualit del cibo diventa elemento costituivo della qualit della vita e dell’ambiente. Alla base di manifestazioni come “gli Stati generali della qualit”, che, annualmente, vengono convocati a Ravello, da Legambiente e da Realacci.

5. Il cibo come fattore di incertezza e di paura. Effetto perverso della tecnologia e della globalizzazione.
Che possono generare “mostri”. Malattie dai nomi fanta-scientifici: il morbo della mucca pazza, l’influenza aviaria.

Oppure concepiscono sistemi di produzione e prodotti, la cui definizione, il cui acronimo stesso, sono sufficienti a suscitare inquietudine. Come gli Ogm: Organismi geneticamente modificati. E, dunque, diversi, anomali, rispetto al “modello naturale”.
Cos, circa tre italiani su quattro, secondo l’Osservatorio Demos-Coop, si dicono preoccupati per la sicurezza degli alimenti e pensano che nel prossimo futuro le cose, sotto questo profilo, peggioreranno ulteriormente. La stessa quota (e, in larga misura, le stesse persone) che non si fida (no) degli Ogm.
Anche da ci, origina il mito del “supernaturale”, come lo definisce Giampaolo Fabris (lo studioso che, pi degli altri, ha analizzato i cambiamenti del consumo alimentare). L’esaltazione del “biologico”, i cui prodotti sono in bella evidenza in ogni bottega, mini e ipermarket. Oltre che nei negozi “dedicati”.

L’Osservatorio sul Capitale sociale sottolinea come un quarto degli italiani consumi alimenti biologici (o presunti tali) almeno una volta alla settimana.
6. Il cibo come impegno sociale. Vista la diffusione di comportamenti e di modelli di consumo che “usano” l’alimentazione per testimoniare valori di altruismo e solidariet. , infatti, sempre pi ampia la quota di persone che pratica la “spesa etica”, il consumo “critico”, si rifornisce, regolarmente, nel circuito del “commercio equo e solidale”, boicotta marchi e prodotti specifici. In parte, questi orientamenti riflettono il declino della partecipazione politica tradizionale, che si svolgeva in sedi organizzate, formali, lontane dall’esistenza e dall’esperienza degli individui. Sul cui solco si sono affermati modelli di impegno e di partecipazione “personale”, che coinvolgono la vita quotidiana. Si traducono in abitudine, atteggiamenti, gusti. Stili di vita. Non un caso che questi comportamenti si colleghino a precisi riferimenti politici e di valore. Al mondo cattolico, nel caso delle pratiche solidali e filantropiche. Mentre le persone di sinistra concepiscono il cibo come “partecipazione” e al tempo stesso come “piacere”.

D’altra parte, anche i “movimenti” e le esperienze che valorizzano le virt del “gusto” hanno tradizione di sinistra. Il Gambero Rosso (rivista di culto, titolare di una rete satellitare di successo), ad esempio, nasce negli anni Ottanta come inserto del Manifesto (diretta, allora come ora, da Stefano Bonilli), mentre lo Slow Food origina dall’esperienza dell’Arcigola. Lo stesso Luigi Veronelli, maestro e pioniere della cultura enogastronomica, durante la sua lunga attivit di editore, negli anni Cinquanta, accanto alla rivista “Il Gastronomo”, pubblic i “Problemi del Socialismo”, diretta da Lelio Basso (di cui egli fu collaboratore). Socialismo e gastronomia. La ricerca della giustizia sociale e della felicit personale. Insieme.
Il cibo. Come alimento ed elemento sociale. Come spettacolo e cultura. Piacere e preoccupazione. Passione e partecipazione. Comunica una societ che si “liberata” dal bisogno. E ha scoperto il “gusto” di vivere. Il valore del territorio e della tradizione.
Il cibo. Tracima, dovunque, nella nostra vita; a ogni passo e a ogni ora. E ammicca, da ogni vetrina, ad ogni angolo e in ogni strada. Dagli schermi, dalle riviste, dai libri. Con un rischio: generare saziet. Farci sprofondare nel ventre soffice di questa societ pingue.


( Fonte La Repubblica )