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Monteverdi scopre il business del vino

QUATTRO aziende e quasi 150.000 bottiglie, con una discreta fetta di esportazione

 

MONTEVERDI. Sarebbe ora di aggiornare la carta d’identità di questo territorio. Alla voce caratteristiche produttive: aggiungendovi: vino di qualità. Eh sì, perché questa realtà fatta di estensioni a vigneto, di grandi e moderne cantine, di migliaia di bottiglie sta acquisendo fatturati importanti e significativi riconoscimenti sui mercati internazionali. Benché giovane, poco conosciuta e non (ancora) aggregata da un marchio unificante. Comunque una novità nella scheda di un territorio descritto di solito come ricco di boschi e di vapori geotermici.

 

( L’enologa Elena Pozzolini nella barriccaia )

I NUMERI. Detto subito che non si fanno paragoni con le vicine terre da vino di Bolgheri e della Val di Cornia (ma di cui geograficamente sono un trait-d’union) , le zone di produzione di Monteverdi e di Canneto esibiscono numeri interessanti: quattro aziende, 54 ettari coltivati a vigneto, 145 mila bottiglie di produzione media annua, molta uva che diventa vino sotto altre etichette, una penetrazione sui mercati a ritmi incoraggianti: dall’Europa agli Stati Uniti all’Estremo oriente. Siamo tra i 250 e i 400 m. sul livello del mare.

 

Un’attività giovane. Tutto comincia poco oltre il giro di boa del terzo millennio. Al Pian delle Ville, estremo ovest del territorio di Monteverdi (uno dei più grandi della Toscana), la macchia mediterranea si affaccia sulle prestigiose estensioni a vite della Bolgherese, e qui nel 2001 comincia a nascere il progetto voluto da Erika Ratti, proprietaria della Tenuta dei Sette Cieli (70 ettari) ed erede di una prestigiosa famiglia di industriali della seta di Como. Sette ettari “vista mare” vengono trasformati con terrazzamenti sostenuti da grandi muri a secco. La prima vendemmia è del 2005, la vinificazione all’Ornellaia non essendo, allora, pronta la cantina nella zona industriale di Bibbona. Di recente l’azienda ha ottenuto l’autorizzazione all’ampliamento dei vigneti.

 

Nel 2002 scende in campo la Tenuta di Canneto, una grande azienda agricola di proprietà della famiglia Pravisani, fino ad allora impegnata nella produzione di grano, foraggi, olio e nota soprattutto per l’allevamento di mucche di razza Chianina. Grossi investimenti e lavori intensi sul terreno trasformano in pochi anni le colline alle spalle del borgo-castello: oggi siamo a 30 ettari vitati con 180 mila piante e una produzione che solo in parte è messa in bottiglia dopo la vinificazione in una grande e moderna cantina, in parte a cielo aperto, posta in posizione dominante rispetto alla proprietà. Grosse quantità di uve vengono cedute, tra i clienti eccellenti un nome per tutti, Antinori.

 

Negli stessi anni comincia la trasformazione della Tenuta di Monterufoli (allora della Saiagricola di Ligresti, oggi della “Tenute del Cerro Spa” di Bologna all’interno della Unipol-Sai), un territorio di oltre mille ettari da cui ne vengono “extrapolati” 15,5 per la nuova attività vitivinicola; questa procede di pari passo con la trasformazione in agriturismo internazionale dell’ex stazione ferroviaria della miniera di lignite. Anche qui sorge una moderna cantina per una produzione di circa 60 mila bottiglie, in gran parte destinate all’esportazione.

 

 

( La cantina di Monterufoli con l’amministratore Gabriele Macelloni ) 

Ultima arrivata sulla scena vitivinicola è una piccola azienda a conduzione familiare, La Radice: dal 2011 commercializza un rosso che da quest’anno avrà la certificazione biologica: 9.000 piante su un ettaro e mezzo coltivato sui 70 circa della proprietà di Fulvio Calligaro, un piemontese doc da anni trapiantato in Toscana (a Donoratico, poi qui) che fa quasi tutto da solo nel vigneto e in cantina con passione ed esperienza.

 

Un marchio per tutte? Sassetta insegna, di recente ha varato il “Brand” dei prodotti locali, una bandiera del territorio. Monteverdi non potrebbe fare altrettanto? Per il vino che porta il suo nome nel mondo, per l’olio e per altre produzioni locali. Unire “anime ribelli”, superare gelosie aziendali non sarà facile, ma val la pena di provarci.

 

Le etichette. Azienda per azienda, ecco le “etichette” di ciascuna.

 

Tenuta di Canneto – Igt Toscana rosso “Santabarbara”(merlot, cabernet-sauvignon, cabernet). Igt Toscana rosso “Podere Le Vizzate” (syrah). Igt Toscana rosso “Podere Le Croci” (sangiovese). Igt Toscana bianco “Lillatro Garbato” (sangiovese vinificato in bianco). Enologo Edoardo Bonacini, Direttore generale della Tenuta Carlo Venturi.

 

Tenuta di Monterufoli-Tenute del Cerro – Rosso Val di Cornia doc “Monterufoli” (sangiovese 100%). Toscana Igt bianco “Vermentino” (vermentino 100%). Enologo Raffaele Pistucchia, Direttore generale Gabriele Macelloni.

 

Tenute del Cerro producono in altre aziende del gruppo Sagrantino, Vino Nobile di Montepulciano, Chianti, Brunello ed altre “bottiglie” di pregio. Enologo Riccardo Cotarella, Ad Vincenzo Tassinari.

 

Tenuta Sette Cieli – Igt Toscana rosso “Scipio” (cabernet franc). Igt Toscana rosso “Indaco” (malbec, caberenet-sauvignon, merlot). Igt Toscana rosso “Yantra” (merlot, cabenet-sauvignon). Bolgheri doc “Noi4” (merlot, cabernet-sauvignon). Enologa e amministratrice Elena Pozzolini.

 

Podere la Radice – Igt Toscana rosso “Merlot” (merlot). Enologo e amministratore Fulvio Calligaro.

 

 

( Fonte http://iltirreno.gelocal.it/ )