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Operazione pancia piatta

Contro il gonfiore addominale serve indagare le cause. E adottare un regime alimentare salutare. Mini guida e suggerimenti di un esperto, il professor Francesco Marotta, per centrare l’obiettivo

GUARDA LA GALLERY: I CIBI CHE FANNO GONFIARE L’ADDOME

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A volte è colpa dell’alimentazione, altre dello stress. In altri casi serve una visita dal gastroenterologo, per escludere problemi come intolleranze a lattosio o glutine, colon irritabile, colite o disbiosi, l’alterazione della composizione del microbiota (espansione anomala di una specie batterica intestinale rispetto ad altre). La pancia gonfia è un sintomo diffuso: il più delle volte è un transito intestinale lento a provocare gonfiore, come pure nervosismo e stanchezza…

 

Il problema è legato soprattutto a uno scorretto stile alimentare: poca acqua, cibi spazzatura, pasti consumati in fretta o disordinatamente. Oltre alla dieta conta anche la ginnastica. Ma certo per non inseguire l’ultima (insana e francamente anche inestetica) moda, il ‘belly SLOT’: un incavo (slot) che da sotto il seno corre verticalmente lungo il ventre (belly) sino all’ombelico, risultato di sedute massacranti di addominali e dieta ferrea, ma segno anche di una magrezza eccessiva.

 

Tra i fattori della pancia gonfia, anche l’uso incongruo di farmaci (tra cui antinfiammatori e antibiotici) e lo stress psico-fisico: ansia, tensioni, aggressività o depressioni sono concause indubbie.

 

Tra i cibi da evitare c’è sicuramente il junk food, ma nemmeno i cosiddetti foodie, seguaci dei blog culinari più trendy, che prediligono cibi come seitan (impasto proteico ricavato dal glutine) o kale (cavolo nero, ricco di antiossidanti e vitamina C), il superfood in voga tra i newyorkesi, sebbene siano più in salute di persone meno audaci nelle abitudini alimentari, sono esimi da gonfiori addominali.

 

Che fare? Una possibile soluzione arriva dalla Fodmap, acronimo di ‘Fermentabili oligo di e mono-saccaridi e polioli’, composti chimici contenuti in alimenti con una notevole capacità fermentativa, ideata dall’australiana Monash University, e testata da uno studio presentato all’Expo di Milano dal professor Enrico Stefano Corazziari, gastroenterologo dell’Università La Sapienza di Roma. I risultati sono allettanti: dopo un mese di dieta senza alimenti Fodmap si hanno 40% di giorni di pancia gonfia in meno. Percentuale che sale al 66% dopo 16 mesi.

 

Però, gli alimenti da eliminare sono tanti, quindi la Fodmap sembra poco perseguibile nel medio lungo periodo. “In effetti nel mondo è tale la frequenza della sindrome dell’intestino irritabile (anche fino al 60-70% delle visite gastroenterologiche) che ogni volta viene segnalato qualche metodo, farmaco, alimento o stile alimentare che dia beneficio, il clamore supera la scienza”, afferma il professor Francesco Marotta, Department Human Nutrition, Texas Women University, responsabile Medicina Personalizzata e di Genere del Montenapoleone Medical Center Milano. “Gli alimenti listati dalla Fodmap come ‘da evitare o limitare’ sono ben noti. Il merito dello studio è stato parametrare bene questa ‘dieta’ e seguirne i benefici sintomatici nel tempo. Qualche timore circa i risvolti nutrizionali, essendo elencati nella lista dei cibi consigliati alcuni decisamente imputati di inflammaging (infiammazione di basso grado che predispone allo sviluppo di malattie legate all’età). Allo stato attuale la Fodmap non è da sposare tout court come guida di salute intestinale, ma può fornire qualche utile spunto di variazione dietetica”.

 

Cosa fare? Innanzitutto evitare bevande gassate (anche l’acqua frizzante) e zuccherate, considerate uno dei fattori chiave della crescente diffusione dell’obesità (dovuta anche al quantitativo di zuccheri che consumiamo senza rendercene conto), limitare i cibi che favoriscono di più la produzione di gas intestinali e inserire alimenti che aiutano a decongestionare l’addome (da scoprire nella gallery).

 

“Attenzione ad adottare atteggiamenti estremi – avverte Marotta – tra cui usare il succo di pompelmo in quantità se si assumono alcuni farmaci (tra cui antibiotici, antistaminici, ansiolitici, antiaritmici, ma la lista è lunga, in quanto il pompelmo interagisce con la maggior parte dei farmaci soggetti a ossidazione), perché può produrre pericolose interazioni, amplificando gli effetti farmacologici o quelli collaterali. L’Unità di Healthy Aging by Genomics & Biotech del Montenapoleone Medical Center di Milano ha collaborato con una struttura di ricerca che ha messo a punto un pratico software che segnala possibili, e spesso insospettabili, interazioni tra farmaci, nutrienti e nutraceutici. In pratica si tratta di un test rapido: s’inseriscono nel sistema farmaci assunti, eventuali abitudini come il fumo, alimenti specifici, nutraceutici o tisane apparentemente innocue, e in breve tempo si ha una mappa delle interazioni e dei suggerimenti sulle modifiche da apportare”.

 

I probiotici possono giovare? “Il Ministero della Salute, li definisce come ‘quei microrganismi vivi e vitali che conferiscono benefici alla salute dell’ospite, quando consumati in adeguate quantità’. Le sue Linee Guida del 2011 segnalano che per ottenere un effetto significativo è ‘necessario assumerli con regolarità e per periodi prolungati e la porzione giornaliera dovrebbe contenere almeno 1 miliardo di fermenti probiotici vivi e vitali per singolo tipo/ceppo’. In caso di disbiosi possono essere utili probiotici ad ‘ampio spettro’, in grado di poter far avvertire un miglioramento entro 7-10 giorni, a patto che l’intestino sia regolare ogni giorno”.

 

 

 

( Fonte http://d.repubblica.it/beauty )