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Ulivi e vigneti in collina Effetti del nuovo clima

Ma prodotti tipici come ciliegie e peperoni diventano a sempre più a rischio

 

 

( Il cambiamento climatico sta modificando profondamente la mappa delle colture: le new entry si accompagnano al declino dei prodotti tipici )

 

Apri la finestra e splende il sole. Soffi il fiato dalla bocca e non esce vapore. Controlli la data e sì, siamo a dicembre.

La primavera a Natale, rovescio della medaglia positivo dei cambiamenti climatici. Quello negativo è l’effetto sull’agricoltura. Le stagioni pazze, che non riescono più a garantire i cicli a cui la natura è regolata da millenni, obbligano a tristi au revoir, anche nelle produzioni tipiche di un territorio, e a gradite new entry.

 

I picchi caldo-freddo

Prima di procedere, andando nel concreto e cercando di capire su quali colture in particolare si scatenerebbero le ripercussioni e perché, occorre puntualizzare: ciò che gli esperti di meteo insistono nel dire è che sì, è vero, negli ultimi decenni le temperature sono aumentate – il 1985 è definito il «break point», punto di rottura, perché da questo momento non c’è più stata alternanza tra annate calde e altre più fredde, ma un continuo, costante e complessivo aumento – eppure ciò che di più preoccupante si sta verificando, all’interno dell’innalzamento globale, sono i sali-scendi, i picchi sopra e sotto lo zero. Sono gli sbalzi di temperatura che hanno fatto del nostro clima un clima assolutamente imprevedibile.

 

Mele in difficoltà

Prima diretta conseguenza della schizofrenia meteorologica è lo stravolgimento dell’agricoltura che non ce la fa più a garantire i prodotti tipici di un territorio. E se occorre, per difesa, sa anche rendersi sterile.

«Da un paio di anni – dice Paolo Carnemolla, presidente nazionale della Federbio – la coltivazione di mele in provincia di Torino stenta a decollare. Le piante non capendo ciò che sta accadendo, mesi freddi e poi settimane estive e poi pioggia e poi di nuovo freddo, semplicemente non fioriscono più». E’ una misura di auto-protezione della natura quando è disorientata: blocca il suo sviluppo in attesa che la situazione si ristabilizzi. E senza sostegno di stimolanti chimici, per superare lo stallo, i primi a farne le spese sono i prodotti biologici.

 

Il peperone senza acqua

«Gli ortaggi coltivati nella zona di Poirino, Carmagnola e Orbassano – prosegue Carnemolla – stanno risentendo di due cambiamenti devastanti: la riduzione, estate dopo estate, di acqua e l’assalto di parassiti». Il caldo fuori stagione (ricordate il sole di novembre?) ha fatto sì che il mais della bassa Val di Susa e della pianura tra Torino e Pinerolo fosse ancora lì, quando invece avrebbe dovuto essere raccolto. Poi è seguito un periodo piovoso e anche il mais è stato «attaccato».

Ciò che mette più a rischio le coltivazioni è un mix micidiale fatto di forti piogge e alte temperature.

Il risultato è un clima caldo umido, di tipo subtropicale che anche in Piemonte non è più sconosciuto.

 

Le castagne di lusso

 

In queste condizioni a vincere è la proliferazione di malattie fitosanitarie, funghi, muffe, insetti infestanti che stanno devastando produzioni. Come quella dei cereali e del castagno, che quest’anno è stato aggredito da una specie orientale di parassiti mai vista prima – basta provare ad avvicinarsi a un caldarroste per misurare gli effetti sul prezzo – e dal Piemonte si è diffuso in tutta Italia.

 

Il vino torinese

Ma Torino può controbilanciare il pericolo estinzione di alcune specialità tipiche con l’arrivo di altre. Parliamo dell’olivo e della vite. È grazie all’uva della Vigna della Regina, che si può vedere da Piazza Vittorio, se la città – prima in Europa c’erano solo Parigi e Vienna – oggi è la terza metropoli a possedere una produzione di vino: una Freisa doc. Ma sulla collina torinese si stanno facendo strada anche la Bonarda e addirittura il Barbera.

Eppure, ciò che strabilia è Chiomonte – a proposito di cambiamenti climatici: in quest’area nel 1200 crescevano i mandorli – bene, qui oggi si produce un vino composto da uve Avanà, Barbera e Dolcetto, si chiama «Ice wine», vino ghiacciato.

 

Bentornato olivo

Poi c’è il capitolo olivo. Non proprio una novità. I Romani, in Piemonte, già praticavano l’olivicoltura che poi e scomparsa proprio per via delle temperature rigide. Oggi è riapparsa nella sua area storica, il Pinerolese: a San Secondo, Bricherasio, a Frossasco, a Cantalupa. Il progetto di reintroduzione è della Coldiretti contro cui si oppone Federico Spanna, presidente dell’associazione nazionale di Agrometeorologia: «Capisco l’entusiasmo – avverte – ma l’impressione è che si voglia fare tendenza a tutti i costi. Il clima è cambiato, è vero, ma nevicate e gelate, i famosi picchi sotto lo zero anche a bassa quota, non mancano».

Staremo a vedere. A deciderlo penserà l’uomo. Ma non senza l’intervento di sua maestà, il tempo.

 

 

( Fonte La Stampa )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.