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Vino: se in Calabria l’unione fa la forza

Le vigne qui ce le hanno portate i greci e la coltura della vite affonda nella notte dei tempi.

( nella foto Nicodemo Librandi )

 

Del resto il Cirò, il più noto (o forse l’unico noto) vino di questa terra era offerto ai vincitori delle olimpiadi antiche. Poi le cose hanno girato diversamente e, mentre la Sicilia e la Puglia si ricavavano una buona immagine vinicola, la Calabria affondava nel dimenticatoio e del resto i terreni venivano convertiti all’olivo.

Per ribaltare la situazione si sono unite cinque aziende (dalla grande Librandi alla minuscola Malaspina) per promuovere insieme i vini della regione. Ma non è una operazione di marketing. I calabresi hanno messo in campo tonnellate di ricerca scientifica e ampelografia, con la collaborazione dei più titolati istituti mazionali per individuare e riprodurre le varietà autoctone degne del palcoscenico internazionale. Sono così riusciti a individuare 289 varietà, 28 delle quali sono state studiate con micro vinificazioni ed 8 sono in fase di registrazione al ministero.

La strada per il rilancio sembra proprio quella giusta: i nuovi vini calabresi non hanno paura di avere una spiccata identità, sono molto ben fatti e, questo non guasta, non sono venduti a prezzi da saldo. Come al solito hanno raggiunto migliori risultati all’estero che nelle carte dei vini italiche, ma questa è una storia frequente.

Venti anni di ricerca, nuovi impianti, cantine moderne, costano e i soldi pubblici ci sono stati. Il progetto di ricerca (si chiama Euvite) è costato 574 mila euro finanziati a fondo perduto per il 70% sul Piano di sviluppo rurale della Calabria. In proposito Alberto Statti, per una delle cinque aziende associate, ha avuto una battuta secca diretta soprattutto a chi della Calabria ha un’immagine non proprio brillante. «Noi non siamo quelli che i soldi pubblici li intascano, noi siamo quelli che li investono tutti e subito».

 

( nella foto il vigneto sperimentale di Librandi dove sono impiantate 289 varietà di viti autoctone )

Nei giorni scorsi il gruppo di aziende calabresi ha inventato una sfida interessante: ha portato sul posto 40 giornalisti i del settore per un confronto alla cieca tra 8 vini calabresi e 8 vini di alta gamma. Per dirne una, uno sconosciuto Mantonico contro un Cru Corton Charlemagne, un rosato di Gaglioppo contro un rosato Provenzale, un Magliocco contro un Amarone. Ebbene, con tutte le riserve su questi confronti dove il proponente si sceglie l’avversario, la prova non è stata di quelle impossibili. A noi i bianchi di Calabria sono parsi persino più piacevoli e immediati dei blasonati francesi, anche se il confronto con il Barolo, l’Amarone e il Chateuneuf du Pape è stato con poca storia per Gaglioppo, Magliocco e compagni. Autoctoni che non hanno tentato di scimmiottare i più blasonati concorrenti, ma si sono proposti così come sono e vogliono essere.

All’inizio della storia c’è la creativa inquietudine di Nicodemo Librandi, oggi presidente di Euvite, che ha iniziato le sperimentazioni fin dagli anni ’90 prelevando, dai vigneti semi abbandonati dai contadini, le marze per la riproduzione. Il vigneto a spirale nella tenuta Librandi in cui sono raccolte le varietà salvate, ha tutto il sapore di un monumento alla scienza enoica al centro della Calabria ionica che è il pezzo di regione più dimenticato in una regione già dimentica di suo. E il risultato nel bicchiere? Sicuramente interessante. Il Magliocco ad esempio ha una morbidezza che il più speziato Gaglioppo non può esibire. Il Maltonico bianco si può tranquillamente confrontare con i nostri migliori Lugana.

Vanno infine citate le aziende a cominciare da Librandi Antonio e Nicodemo, che è la maggiore (250 ettari a vite), poi Statti che è pure molto grande e aggiornatissima, ma ci sono piaciuti molto i vini della Agricola Serracavallo, della Agricola Marini e soprattutto quelli, molto garbati, della minuscola Malaspina (50 mila bottiglie).

 

( Fonte www.giornaledibrescia.it )