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Grandi vini d’Italia

100 vini da non perdere, raccontati attraverso storie magnifiche di uomini e territorio

 

Cominciamo con una previsione: il 2014-2015 sarà il biennio dei libri sul vino. Siamo consapevoli che non si tratta di una previsione poi così difficile da formulare; lo scivolamento dell’asse dell’attenzione collettiva, infatti, è già iniziato: mentre chi non si interessava di cibo quest’anno ha cominciato a gravitare (con risultati non sempre dignitosi) intorno al pianeta food, i gourmet “maturi” hanno realizzato che (sorpresa!) il vino è molto più del fattore che completa l’equazione “tavola + abbinamento”. Il vino è, innanzi tutto, “vivo” – e questo basta già a farne materia eccezionale, di riflessione ed emozione profondissima; non si concede facilmente: per comprenderlo occorre studiare, esercitando tutta una serie di muscoli percettivi che non siamo avvezzi a usare; concentra in una goccia uno spettro universale di sapori, dalle falde più profonde della terra fino ad arrivare agli strati superiori dell’atmosfera; e, infine, il vino trasmette, come poche altre cose sanno fare, meravigliose storie di uomini e territorio. Per questo conquistarlo è una sfida che alletta molti. Per questo raccontarlo non è facile – e non parliamo, naturalmente, di vocabolario tecnico.

 

Un libro che riesce nell’intento è appena uscito: s’intitola “Grandi vini d’Italia” (ed. Gribaudo) ed è firmato da due professionisti del settore giovani, competenti e incredibilmente appassionati, Federico Graziani, sommelier tra i più rispettati (nonché produttore di un bel vino etneo, Profumo di Vulcano), e il giornalista sommelier Marco Pozzali. Amici, ancor prima di essere collaboratori, i due hanno già firmato sull’argomento diverse pubblicazioni interessanti (a partire da “Grandi vini di piccole cantine”, un “caso” dell’editoria enologica, riedito nel 2012 da Gribaudo). “Grandi vini d’Italia” è diviso in dieci capitoli tematici: i vini della gioia, della montagna, del vento, del mare, del sole, del fuoco, della terra, della tradizione, degli uomini, della meditazione. Un’organizzazione originale che fa del volume un romanzo avvincente, in cui l’intento didattico è quasi incidentale. E in questo sta il suo punto di forza. Ciascuno degli autori ha un capitolo e un profilo di cantina preferito: le loro voci nel libro si alternano e sovrappongono. Chi li conosce bene potrà certamente azzeccare l’attribuzione di questo o quel passaggio: io ho la sensazione che uno dei due sia più lirico nel suo approccio del collega; o forse l’altro è ugualmente commosso, ma si trattiene. 

Un romanzo, si diceva, più che un “manuale”.

 

Storie di uomini – e donne – che alla fine sembra un po’ di conoscere, con le loro battaglie ingaggiate contro gli elementi, il mercato, il calcolo della probabilità. Nel capitolo sui “vini del fuoco” (uno dei preferiti di Graziani) si raccontano i vini “di vulcani o terre vulcaniche”. Vi si legge di personaggi come Alberto Aiello Graci e del suo Quota Seicento Arcurìa, della strada che salendo da Solicchiata raggiunge la frazione di Passopisciaro (che chi frequenta l’Etna del vino conosce bene), del sole caldo e della terra nera che arde come la brace, di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio; di Salvo Foti, e dei suoi “Vigneri”, architetti/artigiani di queste vigne ad alberello che affondano le radici in un suolo fine formatosi “per lo sgretolamento di diversi tipi di lava e da materiali eruttivi, lapilli, ceneri e sabbie”. Nel capitolo sui “vini degli uomini” si legge di Eugenio Barbieri (l’etichetta qui è Novecento, la tenuta è Podere Il Santo, nell’Oltrepo’ Pavese), del suo ritorno alla terra: “Laurea in ingegneria e un buon lavoro….”, ma poi qualcosa scatta in quella routine. “Probabilmente nascosta da qualche parte risiedeva la memoria storica legata alla campagna che aveva caratterizzato la vita dei suoi antenati” ed ecco la decisione di “donare ai propri figli non soldi da spendere, ma piuttosto la consapevolezza che i risultati costano”.

 

Nei “vini del sole” si incontrano Cinzia Merli ed Eugenio Campolmi, un percorso comune nel nome del vino, interrotto dalla morte prematura di lui e poi subito rinato per mano di Cinzia, con amore e tenacia, tra i filari dell’azienda Le Macchiole, a Bolgheri, qui rappresentata dal Paleo (molti i racconti di donne del vino, in questo libro, com’è giusto che sia: non vanno affrontate come una categoria protetta, ma è indubbio che non se ne parla abbastanza). Il capitolo dedicato alle etichette della “montagna” (uno dei preferiti di Pozzali) si apre con il Riesling Castel Juval e una cartolina in parole del maso Unterortl, di proprietà di Messner ma gestito dalla famiglia Aurich: “La strada da Bolzano verso la Val Venosta sale dolce e tortuosa… Una casa in sasso e legno sta arroccata su una roccia a strapiombo… Le pareti di pietra si mangiano il bosco, sono lastre di rame e argento, sfogliate dal vento…”. Le vigne qui “si sfidano in equilibri difficili. Crescono sulla roccia e corrono ripidissime verso valle, con un dislivello di 250 metri. La poca terra che cresce sopra le pietraie di gneiss si scalda rapidamente come in un imbuto di sasso”. Un Riesling che gli autori consigliano di acquistare in buona quantità e di dimenticare in cantina, per poi aprirlo tra 10 anni.

 

Se 10 anni vi sembrano troppi, considerate questo. Una delle caratteristiche più apprezzabili (ma anche respingenti: e qui si compie una prima selezione naturale tra chi “se lo merita” e chi no) del vino è che invita, anzi educa, alla pazienza. Si dice che un decennio sia l’unità di misura temporale minima perché una nuova vigna dia la soddisfazione di una buona bottiglia. Lo stesso può valere per “Grandi vini d’Italia”. Chi cerca l’“instant gratification” si limiterà a farne un uso manualistico, di servizio: 100 schede per 100 vini notevoli (non necessariamente i più famosi) del nostro paese, dal Nord a Sud, ciascuna corredata da un utile schema con le note gustative delle annate clou e gli abbinamenti consigliati a tavola. Ma chi ha la pazienza di assaporarlo lentamente, lasciando respirare i singoli passaggi, ne deriverà un piacere superiore, scoprendo di volta in volta nuovi piani di lettura, storie sempre più vicine alla propria sensibilità. Chiudiamo con un estratto dalla postfazione del libro, dedicata alle grandi annate d’Italia: “Il vino perfetto non esiste (ci piace sperare ancora che questo assioma rimanga tale) come pure l’annata assoluta”. Quella che ciascuno di noi consuma con il vino è una storia d’amore piena di errori, che per questo non invecchia mai.

 

 

( Fonte Vogue )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.