Penso sia molto facile parlare a vanvera, soprattutto in ambienti dove pochi sanno e la concorrenza cosciente e pensante è ridotta al minimo indispensabile.
A leggere certi quotidiani o ad ascoltare certi radio/telegiornali sembra che tutto il globo da sempre cucini solo italiano e che la cucina francese, cinese e indiana non siano mai esistite o al massimo siano da considerare spunti folcloristici.
Peccato che la realtà sia ben diversa e che noi tricolori verdi, bianchi e rossi non siamo affatto i protagonisti assoluti e indiscussi. Ne dobbiamo mangiare di polenta. Il Cira, ad esempio, è il concilio che raggruppa chi in Australia propone cucina italiana. Io ne sono entusiasta e vorrei tanto conoscere tutte le varie realtà che concorrono a crearlo. Però quanta Italia vi ritroviamo? Il capitolo dedicato alle Suggested Reading, alle letture consigliate. Non solo è scritto in inglese, ma consiglia la lettura di libri in inglese, sostanzialmente scritti da inglesi per editori inglesi: Susan Dunaway per la Broadway Books nel 2004; Victoria Granof per Regan Books nel 2001; Maria De Rocco con My Motherâs recipes per Longbeachâ¦
Non câè traccia di cuochi, giornalisti e scrittori italiani che scrivono o cucinano in Italia, come se il Buon Paese fosse solo un pretesto, un luogo comune da evocare perché da pochi anni a questa parte è fine dire che in Italia si mangia bene (e si spende poco).
Però i vari Cracco e Scabin, Uliassi e Crippa, Iaccarino sembrano letteralmente non esistere. Ma si può ancora parlare di successo della cucina italiana nel mondo, quando non è presentata da cuochi italiani che ricorrono a materie prime italiane? Vi immaginate a San Francisco o Tokio un locale Ducasse style senza la supervisione di Ducasse?
Sul tema io sono pessimista.
( Fonte Identità Golose )
