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Il segreto di Guala Closures: “Sughero? Meglio l’alluminio: il vino respira e non sa di tappo”

Anche una famosa cantina di Serralunga imbottiglierà tre dei suoi vini con i tappi in alluminio della Guala Closures.

 

Dopo aver inanellato altri marchi di prestigio (ad esempio Antinori), continua l’assedio della multinazionale – con sede centrale ad Alessandria – al mondo del tradizionale tappo di sughero. «Partendo da zero, dal 2003 abbiamo contribuito a creare un mercato che oggi vale circa il 20% del totale e di cui noi deteniamo una fetta superiore al 30%» spiega il direttore marketing Paolo Ferrari, che la scorsa settimana era al Vinitech di Bordeaux con le novità della casa. Per aggredire con ancora più energia il settore Guala Closures ha creato il marchio Wine Developers che, già forte di 11 stabilimenti dedicati alla produzione di chiusure per il vino sparsi nel mondo e un’ampia gamma di modelli, si rafforza grazie all’inserimento di una nuova famiglia di guarnizioni realizzate in collaborazione MGJ, il più grande produttore di liners (cioè guarnizioni, il «cerchietto» che fa da barriera tra il vino e l’esterno) a livello globale. «Ora siamo in grado di rispondere alle differenti esigenze di permeabilità all’ossigeno, garantendo la perfetta evoluzione di ciascuna tipologia di vino dopo l’imbottigliamento». La corretta ossigenazione è un punto chiave. «La permeabilità del sughero è variabile e non perfettamente prevedibile da tappo a tappo – spiega Ferrari –, i nostri ora coprono l’intera scala, ciò che consente di far “respirare” il vino alla pari dei migliori tipi di sughero». Insomma l’alluminio, o comunque il tappo sintetico, pare pronto a sostituire quello tradizionale.

 

Marco Giovannini, il patron di Guala Closures ne è convinto: «Il vino un tempo si consumava sul posto o poco distante, oggi viaggia in tutto il mondo e soprattutto è ormai un prodotto di largo consumo. E con quello che può venire a costare una bottiglia, nessun produttore può permettersi un tappo difettoso che ne rovini il gusto. I nostri danno una garanzia praticamente assoluta, quelli di sughero no». Ma contro gioca una «mitologia» del buon bere: la bottiglia polverosa venuta dalla cantina, stappata con un filo d’ansia e, se tutto fila liscio, il sorriso finale del degustatore. Non a caso le chiusure in alluminio hanno fatto breccia dapprima nei nuovi Mondi: New Zeland, Australia e California. Qui, nella Napa Valley, la Guala ha installato da poco uno stabilimento d’avanguardia che consente di personalizzare le chiusure anche sui mini lotti. «Sì, lì ci sono circa 2000 piccoli produttori. E’ un mercato ricettivo, anche per vini di pregio, il punto è proprio la diversificazione del tappo che, grazie anche a un nostro studio di design, può diventare forte segno di riconoscibilità del prodotto».

 

Ma anche in Italia diverse grandi aziende stanno convertendosi. «Certo per ora è impensabile usare i nostri tappi per un Barolo, ad esempio» ammette Giovannini. E in futuro? Chi può dirlo. La riscossa della tradizione potrebbe arrivare dal Trentino, dove la Brentapack ha annunciato la messa a punto di un processo di «sanificazione» del sughero che – a suo dire – garantisce dal sapore di tappo. La guerra continua.

 

 

( Fonte La Stampa )