Cambiamento climatico, calo demografico, consumo
Tra gli agricoltori che protestano ci sono anche, per la prima volta, i vignaioli, coloro che hanno goduto di un lungo periodo di buoni affari con un prodotto ad alto valore aggiunto, piuttosto raro nei campi. Il vino italiano ha celebrato molti fasti, dal Prosecco al Franciacorta, dal Barolo all’Amarone. Adesso c’è la crisi a pelle di leopardo che rischia di coinvolgere tutto questo settore, vanto del made in Italy e ricchezza per l’ economia: il vino vale 10 miliardi di euro, il 50% dall’export. Un duro colpo per le campagne.
Tanto che una delle regioni-leader, la Toscana, ha lanciato lo SoS a PrimAnteprima, dove vengono presentati i prodotti dei nuovi cataloghi, una sorta di quello che è la Fashion Week per la moda. Il rapporto qui presentato che si basa sui primi risultati del mercato e sulle proiezioni indica per il 2024 addirittura un calo del 13% delle esportazioni, con una débâcle negli Stati Uniti: – 20%. La contrazione non riguarda solo questa regione, per altro una di quelle che traina il comparto, e soprattutto gli analisti concordano che non si tratta di un fatto congiunturale ma di un nuovo assetto del mercato provocato dai nuovi stili di vita, a partire dal trend salutista che spinge i giovani verso altre bevande ma riduce pure i consumi di chi giovane non lo è più.
Sintetizza Carlo Flamini, che coordina l’Osservatorio del Vino dell’Unione Italiana Vini: «I consumi di vino, in particolare rosso fermo, sono in calo da almeno 5 anni, mentre altre tipologie di alcolici sembrano adattarsi meglio alle esigenze delle nuove generazioni in termini sia di salute, benessere e lifestyle, ma anche di aderenza a una dimensione di consumo a seconda dell’occasione».
L’Osservatorio Uiv-Vinitaly avverte che si tratta dello «scenario più complicato degli ultimi 20 anni». Nel 2023 l’export nazionale è calato del 9% in quantità e del 6% in valore. Quest’anno andrà peggio. Tanto che un sito web accreditato, Dissapore, avverte: «Nascondere la testa sottoterra, convincendosi, e convincendo, che non stia succedendo nulla di diverso dal solito sarebbe un comportamento ingenuo e, forse più banalmente, pericolosamente cocciuto: i dati, in altre parole, sono tanti e parlano chiaro: nel mondo si compra (e si beve, che le due cose vanno spesso e volentieri mano nella mano) sempre meno vino».
Se non si corre ai ripari il tracollo, che riguarda in primo luogo i vini rossi ma trascina tutto il resto, è dietro l’angolo. Anche per gli spumanti, che andavano a gonfie vele, ora c’è contrazione: -3,1%. Rispetto alla battuta d’arresto di uno delle etichette più blasonate, quella dell’Amarone, il presidente del Consorzio, Christian Marchesini, ipotizza una ciambella di salvataggio: «Dobbiamo fare un Amarone più contemporaneo, innanzitutto contenendo il grado alcolico a cui il consumatore presta una grande attenzione, rendere quindi tutti i nostri vini più freschi, con i produttori che devono agire sia in vigna, proteggendo dai raggi del sole i grappoli visto il clima sempre più caldo, che in fruttaio (l’ambiente dove si conserva l’uva). Bisogna analizzare con serietà e puntualità le sfide che i cambiamenti climatici, le nuove dinamiche di consumo e gli sviluppi sui mercati pongono alla denominazione. Dobbiamo, vogliamo e possiamo fare un Amarone più contemporaneo».
Marco Alessandro Bani è un altro presidente di Consorzio, quello del Chianti: «Il 2023 si è chiuso con un’ulteriore riduzione delle vendite, l’inizio del 2024 ha registrato segnali di ripresa e questo ci consente di non cadere nello sconforto». Il cambiamento climatico è un importante nemico: il caldo fa diminuire i consumi e crea problemi in vigna, per esempio con la peronospora (defoliazione e perdita dei grappoli, tra le cause vi è la siccità). Un altro nemico è l’aumento dei prezzi, conseguenza della crescita dei costi. In un anno il prezzo medio di una bottiglia è aumentato attorno al 5%.
Il fatto è che la crisi del vino non è solo italiana. Rispetto all’anno scorso le vendite sono diminuite del 7% in Italia, del 10 in Spagna, del 15 in Francia, del 22 in Germania e del 34 in Portogallo. L’Observatorio Español del Mercado del Vino valuta che il mercato mondiale abbia perso in un anno ben 802 milioni di euro. Del resto pure la Francia, che condivide con l’Italia la leadership, sta soffrendo fortemente. In Francia, come nel resto del mondo, la domanda interna di vino è crollata. Negli anni 50 l’adulto medio beveva 150 litri di vino pro capite all’anno, oggi siamo sui 40 litri, con una fetta importante della popolazione francese (38%) che non beve mai vino. Così il governo, per diminuire la produzione, ha stanziato 230 milioni da destinare a chi espianta i vigneti.
Il ministro francese dell’agricoltura, Marc Fesneau, spiega: «I viticoltori stanno attraversando una profonda crisi nelle aree viticole della grande mezzaluna Sud-Occidentale, del Sud-Est e della Valle del Rodano meridionale. La crisi del settore vitivinicolo ha colpito prevalentemente le zone della metà meridionale della Francia. In tale contesto, il governo si impegna a sostenere questo importante settore economico a livello nazionale e regionale, anche con un rafforzamento delle misure di sostegno economico di emergenza già varate nei mesi scorsi, ma anche novità dal punto di vista normativo e finanziario. Ciò consentirà ai viticoltori che decidono di ritirarsi dalla produzione di vino di rimanere nell’attività agricola e di investire in altre produzioni agricole adatte alla regione e al suo clima». In questa direzione va anche la California, dove si valuta l’eliminazione di circa 12mila ettari di filari.
In Italia i viticoltori sono divisi tra favorevoli alla rottamazione dei vigneti e contrari. Dice Domenico Mastrogiovanni, direttore del Centro di Assistenza Agricola di Cia-Agricoltori Italiani: «Si potrebbe modificare l’attuale regime di ristrutturazione e riconversione dei vigneti prevista dal Piano nazionale di sostegno dedicato al vino e in Italia cofinanziato da Bruxelles. Proponiamo di rendere operativa questa parte del contributo e lasciare al viticoltore la possibilità di decidere entro5-8 anni se confermare la scelta di uscire dal settore o, di fronte a una ripresa del mercato, di reimpiantare il proprio vigneto».
Invece, i produttori dell’Unione italiana vini sono contrari a ogni ipotesi di espianto: «Un dibattito su possibili piani di estirpo in alcune aree viticole del paese è da affrontare con cautela e dati concreti sulla situazione del potenziale e sull’andamento dei consumi in futuro. Le misure del Piano nazionale di sostegno non debbono incoraggiare l’abbandono della vigna e il prepensionamento dei viticoltori».
( Fonte Italiaoggi.it )