Il cuoco vicentino si racconta: dalla ricerca di una cucina di alto livello ma low cost alla conquista della stella Michelin a soli 25 anni
La cucina italiana vanta da due anni un primato. Quello di contare tra le eccellenze gastronomiche lo chef stellato più giovane. Lui, l’enfant prodige della cucina made in Italy, è Lorenzo Cogo, 27 anni, lo chef veneto di talento che con il suo ristorante El Coq di Marano Vicentino (10 tavoli e fresco di restyling) si distingue per il suo stile personale, creativo, “istintivo”, come ama definirlo lui.
Perché si definisce “istintivo”?
Non volevo un’etichetta e desideravo sentirmi libero di cambiare, di sperimentare, di seguire le mie esigenze. Quello che sento, il modo in cui mi sento, lo riproduco nei miei piatti.
Quando ha iniziato a pensare che voleva fare lo chef?
Ho sempre sentito la necessità di trovare un mestiere che mi lasciasse lo spazio di esprimere me stesso. E ho scelto la cucina. Ho girato il mondo, ho conosciuto chef famosi e ho lavorato al loro fianco, fino a quando non ho capito quali fossero le tendenze più vicine alle mie corde.
Australia, Giappone, Spagna, Singapore, Danimarca… Quali di queste esperienze ha riportato in Italia?
Da ogni luogo ho preso qualcosa. In Spagna, per esempio, ho riscoperto la brace che è diventata parte fondamentale della mia cucina. In Giappone ho trovato il rigore nella scelta della materia prima e della tecnica, nel rispetto delle tradizioni. Quello che imparo lo riporto nel mio ristorante e lo evolvo a modo mio.
Che cosa vuol dire conquistare la stella Michelin a soli 25 anni?
Beh, quando l’ho saputo mi sono sentito sollevato.
In che senso?
Ora il mio lavoro viene riconosciuto. Quella stella ha un potere: cambia l’approccio delle persone nei confronti di quello che fai. Prima il mio lavoro e quello della mia brigata non veniva considerato con serietà, mentre ora la visione degli altri è cambiata anche se noi lavoriamo allo stesso modo, con tanto impegno e serietà. Oggi come prima.
Le pesa mantenerla?
Assolutamente no. È uno stimolo. Mi conferma che sto andando nella direzione giusta. La considero quasi come un punto di partenza. Tanto che non l’ho neanche festeggiata. L’ottica è quella di guadagnarne altre, di lavorare sodo. Quello che facciamo a El Coq è migliorabile e in continua evoluzione a prescindere da qualsiasi riconoscimento.
Pensa mai: “Ma chi me lo ha fatto fare”?
L’ho pensato tante volte. Aprire un ristorante in piena crisi economica fuori provincia non è stata una scelta facile. È stata una sfida: portare qualità dove ce n’è poca, far conoscere un certo tipo di ristorazione, diversa dalle altre, mi ha fatto crescere non soltanto professionalmente. Adesso El Coq si identifica con il territorio, con i suoi prodotti, con le persone che ci abitano e che ci lavorano. Sei giorni la settimana.
Ma quando trova il tempo per sé?
La domenica, durante il turno di riposo. Se vado a casa di amici evito di cucinare. Loro si fanno ancora qualche problema ma io mangio di tutto, anche un piatto di piatta scotta.
E con la fidanzata?
Con Serena cucino io, mi diverto. Oppure usciamo a provare nuovi locali.
Quali sono i suoi progetti per quest’anno?
Il pranzo low cost è il primo. Da poche settimane propongo le “colazioni di lavoro”, una carta dedicata con scelta tra antipasti, primi e secondi piatti, acqua e caffè a 24 euro. Rispetto alla sera cambia soltanto lo stile: ambiente informale, più dinamico, più friendly, più rapido, adatto a un pranzo di lavoro dove si vuol fare una bella figura, mangiare prodotti di qualità e poco. Con Andrea Ugolotti, il mio sommelier, proponiamo come accompagnamento il BioFiasco, un vino ottenuto da una selezione dei migliori vigneti a conduzione biodinamica, in fiasco come una volta e senza solfiti.
L’Expo 2015 è un’opportunità per nuovi progetti?
Spero di riuscire a trovare il modo di creare un ponte tra Milano e Vicenza. Mi piacerebbe creare un polo gastronomico, una scuola, spazi culturali, inventare un nuovo salotto per cene private, corsi di cucina, degustazioni, laboratori sperimentali.
Cosa cerca di insegnare al suo staff?
Cerco di essere stimolante e di far passare le ore di lavoro in serenità incoraggiando la mia brigata a fare sempre meglio. Mi ritengo autorevole, non autoritario. Devo mantenere alta l’attenzione perché tutto venga fatto nel migliore dei modi. Al massimo delle nostre capacità.
( Fonte icon.panorama.it )