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Storia del vino misterioso e ritrovato

La grande riscoperta dalla Sicilia al Trentino

Da un vitigno senza nome poi ridefinito come “Orisi”, alla produzione di un vino che rappresenta un territorio e una storia antica. Fino alla famiglia Girelli

 

Girelli Stefano e Marina ( Foto Vittorio Ferla )

 

C’era una volta un vitigno senza nome. E c’era una volta una famiglia di imprenditori vitivinicoli che glielo restituì. Potrebbe cominciare così la favola dell’Orisi, un vitigno che sembrava scomparso e che era stato dimenticato. Perfino il suo nome sembrava sparito tra i polverosi documenti del passato. Eccolo il paradosso: un vitigno misterioso che riappare dopo anni ma che, nel frattempo, ha perso perfino il suo nome, cancellato dalle burocrazie degli albi e delle denominazioni dopo esser caduto in disuso. Orisi, chi era costui?

Cominciamo dai “genitori”

Si potrebbe dire così, parafrasando la domanda di Don Abbondio, nell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi, a proposito di Carneade. Ebbene, dell’Orisi, intanto, conosciamo i genitori: Sangiovese e Montonico Bianco. Dalla loro libera impollinazione origina questa uva arcana, presente in pochi esemplari, nei vigneti più antichi dell’area dei Nebrodi. Proprio per la sua vicenda enigmatica, l’Orisi fa parte dei vitigni reliquia siciliani, espressione della straordinaria biodiversità di un’isola spesso definita ‘continente del vino’, proprio grazie alla varietà, alla quantità e alla qualità delle uve. L’Orisi, pertanto, non è da solo, ma in compagnia di altri “colleghi” dai nomi sconosciuti e quasi impronunciabili: Inzolia Nera, Lucignola, Usirioto, Vitrarolo e Recunu. Tutti via via recuperati grazie all’ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano. Nel 2003 è partito un progetto per il recupero che comincia a dare risultati molto interessanti.

Se ricostruisci la storia hai l’identikit del territorio

Come spiega Attilio Scienza, luminare degli studi di viticoltura ed enologia, “lo studio dei vitigni reliquia, che sono molti di più dei sei registrati, consente di ricostruire il pedigree della viticoltura siciliana. Un patrimonio importantissimo che sarà molto utile per fare fronte al cambiamento climatico in atto. Questi vitigni, infatti, hanno attraversato nel passato periodi molto caldi e sono quindi una riserva genetica formidabile da valorizzare anche con le nuove tecniche di miglioramento genetico. Ora il lavoro deve proseguire con lo studio del loro comportamento nei diversi areali di coltivazione in Sicilia e con la selezione clonale”.

La rinascita e i fratelli trentini

Ma tutto questo non potrebbe avvenire senza l’impegno e la dedizione degli imprenditori. Come rivela la ricerca scientifica, l’Orisi ha dei genitori ‘biologici’. Ma la sua seconda nascita sarebbe stata impossibile senza la collaborazione e la passione di Stefano e Marina Girelli, fratello e sorella trentini con una storia nel vino (Casa Girelli in Trentino e Villa Cafaggio nel Chianti Classico, entrambe poi vendute) che hanno scelto la Sicilia dal 2001 per realizzare vini biologici e vegani. Il luogo elettivo di questa impresa è l’area del Cerasuolo di Vittoria, proprio nel territorio della città che dà il nome alla docg, in provincia di Ragusa. Le aziende dei Girelli sono due, Santa Tresa e Azienda Agricola Cortese, diverse per genotipi e terroir, situate a soli 8 km l’una dall’altra: qui si producono Frappato e Nero d’Avola (anche in blend come da disciplinare nel Cerasuolo di Vittoria), Carricante, Catarratto e Nerello Mascalese. Proprio dalla passione per la Sicilia di Stefano e Marina nasce l’ultimo progetto: riportare in vita l’Orisi, dopo averlo allevato con la massima cura, racconta Stefano Girelli, “in un piccolo fazzoletto della nostra tenuta esposto a Nord, dove abbiamo piantato 1523 ceppi allevati a spalliera in un terreno franco sabbioso, ricco di minerali e poggiato su uno strato di calcareniti compatte”. L’etichetta scelta per presentare questo nuovo vino è contrassegnata soltanto da una O. Per registrare nuovamente il nome tradizionale bisognerà aspettare i tempi della burocrazia. Nel frattempo, il vino figlio di questa varietà – un Terre Siciliane Rosso Igp – è già disponibile con l’annata 2020 in un’edizione limitata (poco più di 2mila bottiglie).

Puntare forte sul biologico

La famiglia Girelli acquisisce Santa Tresa nel 2000. Da quell’anno ha intrapreso la strada dell’agricoltura biologica. Ormai vent’anni di storia che si manifesta anche nella personalità e nella solidità dei vini. L’acquisto dell’azienda Cortese, dotata di una cantina nuovissima ma mai utilizzata, risale al 2016. Cortese è un work in progress e propone vini più rustici e selvaggi. Ma propone un Cerasuolo di Vittoria classico, nome attribuito all’areale più ristretto della denominazione. Due aziende dalla personalità diversa (più “chic” Santa Tresa, più “rock” Cortese), ma accomunate dall’amore per il biologico e da due campioni della viticoltura vittoriese: il Nero d’Avola e il Frappato. Assolutamente da non perdere.

 

foto V.F.

I vini in degustazione

Nel corso della presentazione delle due cantine a Roma abbiamo testato i seguenti vini.

Frappato Spumante Rosé Brut biologico Metodo Martinotti Santa Tresa

Rosa salmone, perlage fine. Naso di frutta fresca, in particolare di fragolina di bosco. Sorso delicato e allegro, con piacevole acidità e aromi agrumati. Divertente e amichevole per un aperitivo spensierato.

Orisi Terre Siciliane Igp 2020 Santa Tresa

Colore intenso violaceo. Profumi di ciliegia, grafite, spezie dolci e sentori di radice e di erbe aromatiche. Al palato la trama dei tannini risulta delicata, con una sensazione lievemente eterea e rustica, grande freschezza e finale amaricante.

Frappato Boscopiano Terre Siciliane Igp 2019 Cortese

Una sperimentazione interessante in in anfore ovali di terracotta di Impruneta. Rubino scarico, profumi di frutti rossi, note di erbe officinali, spezie, arance e mandorle. Sorso succoso e gentile, gustoso e fresco, retrogusto di arancia amara e ginger. Fine ed elegante, smentisce il cliché sulla potenza dei vini siciliani.

 

foto V.F.

Avulisi Sicilia Doc Riserva 2018 Santa Tresa

Avulisi in dialetto siciliano significa ‘abitante di Avola’ e rimanda ovviamente al nome del vitigno. Vinificazione in barrique. Rosso porpora intenso, sa di prugne, frutti rossi di bosco, pepe nero, tabacco, cacao e liquirizia. In bocca il tannino è morbido ed elegante. Un vino di grande pulizia e solennità.

Cerasuolo di Vittoria Docg 2020 Santa Tresa

60% Nero D’Avola (il 15% fa appassimento) e 40% Frappato. Rubino con riflessi violacei, profumi di ciliegia, spezie dolci, in bocca è fresco, morbido, strutturato, godibile, con retrogusto di arancia rossa.

Sabuci Cerasuolo di Vittoria Classico Docg 2020 Cortese

Sabuci è il nome di una contrada. Le uve vengono fatte fermentare separatamente: il Nero d’Avola (70%) in singole barrique, il Frappato (30%) in anfore di terracotta da 7 hl, poi affinamento insieme nelle botti. Il naso è più “scuro”, con prevalenza di profumi di frutti di bosco. La botte esalta note di cuoio e caramello. Sorso molto complesso e concentrato, tannini fitti ma dolci, retrogusto sapido, amaricante e vinoso.

 

foto V.F.

( Fonte foodculture.tiscali.it )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.