Una narrazione finalmente gustosa, del vino, intima e intimistica, che privilegia aspetti personali, stilistici ed estetici, tanto dei produttori quanto dei degustatori.
È’ questa la strada intrapresa da Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari per il volumetto «Vini da Scoprire», 120 racconti a tre mani, sul vino (Giunti Editore – 18 euro). Un libro che, già a partire dalla materica rigidità della copertina, restituisce al lettore il gusto perduto di una narrazione che è anche aneddotica, gettando l’occhio della propria vocazione, ma senza ansie classificatrici, su quelle piccole produzioni di cui molto poco, normalmente, si parla.
Un modello straordinariamente interessante per più motivi, dunque, è quello edificato da questa guida che sarà, necessariamente, una guida per appassionati il cui merito, oltre quello di destare l’attenzione su realtà misconosciute, è anche quello di edificare per se stessa una natura assoluta nel senso di «sciolta» poiché libera dai grandi nomi, e quindi scevra da qualsivoglia influenza; infine, e proprio per via del suo gusto per l’aneddotica, sarà divertente provare ad indovinare la paternità autoriale di ciascuna «scheda», ché di scheda, in effetti, non si tratta nemmeno.
E così facendo, provare a indovinare lo stile estetizzante del Gravina, quello quartato-terroiriste di Castagno, o la punta di penna, anche musicologica, di Rizzari, mentre nel puntuale tentativo di abbinamento, mai scontato ma anzi oculato, ragionato e ordito, ritrovare tutto il gusto del vino quale elemento, e alimento, eminentemente conviviale.
Una guida senza guida, insomma, se non la selezione «affettiva» compiuta dichiaratamente sulla base di un unico criterio, l’onestà intellettuale: non il vertice qualitativo, nè la complessità a tutti i costi. Solo l’onestà quale imperativo di fedeltà verso se stessi e verso il territorio. Non ci resta che brindare a un’opera che chiunque appassionato dovrebbe acquistare con il vino di un’azienda presente nel libro nel cuore delle colline faentine. In località Santa Lucia, risiede infatti Ancarani, un’azienda che, nel tempo, s’è distinta per la peculiare sensibilità nei confronti della biodiversità la quale, nel vino, si traduce nell’istanza verso l’autoctono. Così fu recuperato il vitigno paradossalmente ribattezzato Famoso, e stessa sorte è toccata al Centesimino, un vitigno riscoperto, coltivato e sapientemente trasformato da un ristrettissimo nucleo di produttori, otto in tutto, altrimenti noto, nella zona, come Savignôn Rosso. Ma non ha nulla a che vedere col Sauvignon e, nella versione di Ancarani, restituisce un vino floreale, di somma beva, che indora i sensi con slanciate note di viola e di rosa.
( Fonte Gazzetta di Parma )
Annotazioni a margine
Fa piacere leggere che colleghi famosi ” scoprono ” il vitigno ” centesimino o savignon rosso ” ( è scritto proprio savignon in forma dialettale romagnola ) oggi nel 2017, quando il sottoscritto ne scrisse nel lontano 2004, ben 13 anni fa !
Leggi al link : http://www.vinit.net/vini/Le_Mie_Degustazioni/Figli_di_un___Bacco_Maggiore___2463.html
Meglio tardi che mai !
RG