Home News Barolo, Sagrantino, Amarone: come fare affari con i nostri vini

Barolo, Sagrantino, Amarone: come fare affari con i nostri vini

Qualche consiglio per guadagnare con le bottiglie. Ma senza fare follie

 

 

Scrive David Ricardo, il massimo teorico dell’economia classica, nella Londra del primo ‘800 che aveva «inventato» il Bordeaux, il Porto e perfino il Marsala: «Vi sono alcune merci, il cui valore è determinato soltanto dalla loro scarsità. Alcune statue e pitture rare, vini di qualità speciale, che possono esser fatti soltanto con uve raccolte in un determinato terreno, la cui estensione sia assai limitata, sono tutti di questo tipo. Il loro valore varia col variare delle ricchezze e dei gusti di coloro che sono desiderosi di possederli». Basterebbe questo a spiegare come si possano pagare 224mila euro per possedere uno Cheval Blanc da sei litri. Il prezzo di un appartamento. Follia? Forse. Ostentazione? Può darsi. Gioia? Sicuramente. Investire in grandi bottiglie rende. Basta che si pensi che una bottiglia, come può essere la Riserva Biondi Santi Brunello di Montalcino 1955, uno dei dodici vini del secolo secondo Wine Spectator, costava all’origine l’equivalente di 60 euro di oggi e potreste pagarla in un’asta 3600 euro: seicento volte il suo valore iniziale. O basta considerare più prosaicamente che il Mps Art Wine Index, elaborato dal Monte dei Paschi di Siena che tiene conto delle interazioni tra mercato dell’arte, del vino da collezione e la Borsa, ha guadagnato in sei anni il 158% del suo valore staccando di ben 50 punti percentuali i principali indici azionari. Ma è tutto oro? Assolutamente no.

 

A contribuire alla crescita esponenziale delle quotazioni delle bottiglie da collezione è stato il debutto su questo particolare investimento dei ricchi cinesi. I magnati russi, al contrario, non tesaurizzano: spendono, ma il vino se lo bevono. Shangai e Hong Kong sono diventati i principali mercati e hanno spinto i vini di Borgogna e di Bordeaux a livelli mai visti. Ma è stata una bolla speculativa devastante per i francesi: i prezzi sono crollati di colpo. Tant’è che nel Live-Ex 100, il principale indice di investimento in vino, l’Italia è passata da 7 a 9 etichette e le nostre bottiglie stanno diventando le vere star del mercato. Hanno avuto rendimenti medi del 6% anno su anno e hanno scalato le classifiche del Live-ex: Masseto ora è 12°, seguito da Sassicaia (14), da Ornellaia (20) tre vini di Bolgheri. Poi ci sono le new entry Giacomo Conterno (Barolo, al 40° posto) e Tua Rita (Val di Cornia, Toscana al 52°). Ancora due bottiglie toscane di Antinori Tignanello e Solaia poi due piemontesi: Roberto Voerzio e Angelo Gaja (uno Barolo, l’altro Barbaresco).

 

A quotazioni lontanissime – se si eccettua per qualche rarissima eccezione come il record di Ornellaia da nove litri battuto per beneficenza a 105mila euro o la bottiglia unica e celebrativa di Monte Vibano battuta a 70mila euro – dalle follie borgognone e bordolesi e per questo molto più abbordabili e stabili come investimento. Ma ci sono delle regole. Tanto Gelardini & Romano ora volati in Cina, quanto Pandolfini di Firenze che sono stati i pionieri delle aste del vino in Italia raccomandano cautela e soprattutto di non pensare a speculazioni rapide. Ma Christie’s e Soteby’s che battono regolarmente grandissime bottiglie dicono che non c’è flessione in questo mercato. Anzi: ora che insieme a russi e cinesi, oltre ai soliti americani, si stanno affacciando i brasiliani e perfino gli sceicchi che comprano (forse) per non bere ma per possedere, il mercato risale.

 

Investire in vino ha le sue regole. Si può comprare en primeur (possibile però solo in Francia) pagando ora per allora (in Italia i futures li hanno emessi e solo in via sperimentale Castello Banfi, Antinori e Frescobaldi) e guadagnando sullo spread di prezzo, oppure partecipare alle aste comprando e rivendendo. Ma c’è una terza via: scommettere su vini che dureranno, tenerseli, magari anche berseli, e venderli a lunga scadenza. E questo è il modo migliore per mettere a profitto i grandi vini italiani. Per avere buona probabilità di guadagno è necessario che il vino sia di una cantina internazionalmente riconosciuta, che abbia avuto ottimi punteggi e che sia perfettamente conservato.

 

Un altro plus: casse intere o grandi formati. Quanto si può guadagnare? Nel giro di tre, quattro anni si può arrivare a raddoppiare se non triplicare l’investimento iniziale. Oggi conviene puntare su cantine italiane già affermate ma sulle quali non c’è speculazione. Qualche nome? Arnaldo Caprai di Montefalco con il suo Sagrantino 25 anni, Castello d’Ama con l’Apparita, Dal Forno con l’Amarone, il Petra di Petra, Franciacorta come il Vittorio Moretti Bellavista o la Cuveé Anna Maria Clementi di Ca’ del Bosco, l’Oreno di tenuta Setteponti, il Pergole Torte di Montevertine, il Barolo Monfortino, il Pelago di Umani Ronchi o il Pollenza di Aldo Brachetti Peretti, il Villa Gemma di Marina Cvetic, buona parte di Montalcino, Sammarco, o su bottiglie già diventate da collezione come il Merlot 2001 di Venica in tiratura limitata per beneficenza, o il Sossò di Livio Feluga.

 

Se però avete trovato una vecchia bottiglia del nonno in cantina avrete un ottimo aceto, ma non un grande affare.

 

( Fonte www.liberoquotidiano.it )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.