Vendemmia a un passo dal disastro uve piccole, vino di bassa qualità
I produttori: senza precipitazioni per 10 giorni e saranno guai. La maturazione è ferma al 30% Irrigazioni vietate dal disciplinare ma si apre il dibattito
E’ l’allarme che sale dalle aziende agricole toscane. Un allarme non scontato, perché uno si potrebbe aspettare che, a fronte di una minore produzione, la siccità finisca con l’innalzare la qualità. Ma qui siamo un passo oltre: «Sono due anni che le falde non ricevono acqua, il risultato è che l’uva non matura, acini piccoli e basso tenore di zuccheri e polifenoli», dice Aleandro Ottanelli del dipartimento produzioni vegetali della facoltà di Agraria. E la tendenza dei produttori è quella di ritardare il più possibile la vendemmia di quest’anno.
C’è chi ha lavorato molto sulla vigna, togliendo le erbe superflue e diradando le foglie. «Ma la mancanza di acqua sta bloccando la maturazione, blocca il metabolismo, la macchina della pianta, anche se troviamo situazioni differenziate tra terreno e terreno, anche all’interno della stessa azienda», sostiene Giovanni Mattii, docente ad Agraria. E con gli acini non maturati, scarsamente colorati e scarsamente dotati di zuccheri, non si annuncia un’annata facile per il vino.
C’è solo l’azienda Marchesi de’ Frescobaldi che sostiene il contrario, preoccupata forse di un possibile contraccolpo sulle vendite: «Ipotizziamo un’annata qualitativamente molto buona», annuncia. Eppure anche nel Chianti senese la siccità colpisce duro: «Siamo alle strette, se non piove entro 10 giorni siamo nei guai. L’invaiatura, cioè la maturazione, è al 30 per cento. Ed è per tutti così», dice Roberto Bianchi dell’azienda agricola Val delle Corti di Radda in Chianti.
Né il Consorzio del Chianti né quello del Brunello, fanno notare i produttori, hanno fatto delibere per consentire irrigazioni d’urgenza, altrimenti vietate dal disciplinare. Ma la discussione sull’irrigazione è appena all’inizio, ora che la siccità è un fenomeno regolare che si ripete ogni anno: «Alcuni produttori insistono nel dire che irrigare significa aumentare la quantità e abbassare la qualità», ricorda Mattii. Ma se la stessa produzione e perfino le piante sono a rischio qualcosa si deve pur fare. Cosa? «Si pensa a piccoli invasi collinari per raccogliere le acque piovane», dice Ottanelli. Ma questo significa iter burocratici e costi, visto che un impianto di irrigazione, sempreché il disciplinare lo consenta, costa circa 1.500 euro ad ettaro. Costi esosi di questi tempi, dicono i produttori.