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Cile, cresce l’export del vino

Buenos Aires – Il vino cileno piace sempre di più, soprattutto al di fuori dei confini nazionali.

 

Lo dimostra l’incremento delle esportazioni del 4,2% registrato nel corso dell’ultimo mese di agosto che porta le entrate annuali del settore a toccare quota un miliardo e 220 milioni di dollari. Un business che ha visto una crescita vertiginosa a partire dalle ultime decadi del ventesimo secolo, quando le compagnie vitivinicole del Paese sudamericano cominciarono a stabilire relazioni commerciali con l’estero, in special modo con enologi e vigneti francesi e statunitensi. Il risultato di questa collaborazione è stato che molti vini cileni hanno scalato le classifiche di qualità entrando nel gota dei migliori vini del mondo.

 

I vigneti più riconosciuti del Paese si concentrano in cinque zone: il Maipo, il Maule, il Curicó, il Rapel e il Colchagua cui si è aggiunta più recentemente la Casablanca per i vini bianchi. Anche se oggi le varietà principali di uve coltivate sono di origine francese, la storia del vino cileno comincò con l’arrivo dei conquistatori spagnoli. I primi vigneti furono piantati nella prima metà del ‘500 e corrispondono, secondo gli esperti, alla cosiddetta varietà ‘negra’ spagnola, coltivata ancora oggi in alcune zone centrali del Paese. La qualità del vino prodotto in quelle terre crebbe al punto che all’inizio del diciannovesimo secolo venne proibito dalla Spagna di Napoleone in quanto pericoloso concorrente di quello prodotto in Spagna.

 

Alla metà di quello stesso secolo, con il Cile che ormai era un Paese indipendente, si cominciò a considerare il vino come una importante fonte di entrate da esportazione, e per questa ragione i governi si preoccuparono di svilupparne la qualità. Per questo compito fu contrattato l’enologo francese Claude Gay, che creo un stazione sperimentale dove valutò scientificamente la compatibilità di oltre 40mila viti europee di 70 varietà distinte con il suolo cileno. Il passo successivo venne imposto dal diplomatico Silvestre Ochagavía, da molti considerato il padre della viticoltura cilena moderna, e consistette fondamentalmente in un profondo aggiornamento delle tecniche di produzione. Ochagavía tornò dall’Europa accompagnato da esperti francesi che lo aiutarono a soppiantare le varietà locali con Cabernet Sauvignon, Malbec, Merlot, Pinot, Riesling, Sauvignon Blanc y Sèmillon. Nel 1863 partì dalla Francia un’epidemia di filossera della vite che si estese catastroficamente ai vitigni californiani, sudafricani e australiani. Le coltivazioni cilene, però, non furono colpite, è contribuirono in maniera fondamentale al recupero mondiale del settore.

 

Quel periodo positivo, però, non venne sfruttato. Le esportazioni, che fino ad allora erano state quasi esclusivamente per il mercato statunitense, non si estesero all’Europa e ben presto i produttori si orientarono al mercato sudamericano i cui margini di profitto, però, erano molto inferiori. Dalla possibile svolta positiva, quindi, si passò ad una caduta che progredì in maniera costante tra il 1938 e il 1974. La produzione di vini di qualità per l’esportazione ricominciò negli anni ’80, quando numerosi produttori mondiali riconobbero la qualità delle viti cilene e decisero di investire. Tra questi, i primi e più importanti furono le spagnole Miguel Torres e Domecq e la francese Lafite Rotschild. La sostituzione delle antiche installazioni con tecnologia moderna e l’adozione da parte del Governo di una legislazione oculata del settore portarono, nello spazio di una sola decade, il vino cileno al top dei produttori mondiali.

 

Attualmente, il vino cileno occupa l’ottava posizione fra i maggiori produttori del mondo, dietro a Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Cina e Australia. Le sue esportazioni si dividono in un 25% verso gli Usa e in un 55% verso l’Europa, dove la Gran Bretagna è il principale compratore. Nel 1996, visto il successo del settore, un gruppo di produttori della Città di Santa Cruz, nel cuore della regione vitivinicola, diede vita alla ‘ruta del vino’, una vera e propria via del vino che possa incanalare il grande flusso di turisti amanti delle varietà cilene.

 

Il +4,2% registrato dalle esportazioni nell’ultimo anno, quindi, si inserisce in un contesto di crescita progressiva implementato negli ultimi trenta anni a partire dalla modernizzazione delle antiche varietà di vite coltivate nel Paese. Nello specifico, le esportazioni dell’ultimo anno sono scese del 6% verso gli Stati Uniti, dove il business raggiunge comunque i 17 milioni di dollari. In Giappone e Cina, invece, il disimpegno cileno è stato altalenante; il primo, infatti, ha incrementato le richieste di oltre il 50% ma a un prezzo ribassato del 6,8%, mentre il secondo ha fatto registrare un risultato negativo. Differente il discorso per la Russia, destinazione che negli ultimi anni si è fatta sempre più importante per i vini cileni e che in agosto segnava un +20%.

 

La qualità del prodotto cileno, del resto, quest’anno è stata confermata anche dall’ottimo risultato ottenuto all’importante rassegna del settore Mundus Vini, celebrata in Germania durante le ultime due settimane del passato agosto. In quell’occasione i vini cileni sono stati capaci di ottenere 71 medaglie, preceduti solo dalle 79 australiane. E sull’onda di questi risultati arriva in Cile anche il Wine Institute, vera e propria università del vino che dopo cinque anni di formazione in Argentina e diversi corsi nel resto del continente sudamericano ha deciso di puntare sul Cile per la sua definitiva espansione nella regione.

 

( Fonte www.lindro.it )

 

 

P.S. ) Segnalo questi miei articoli di tre anni fa, dopo la mia visita alla Vale del  

Colchagua, ai link :

 

https://www.winetaste.it/il-vigneto-piu%C2%92-antico-del-mondo/

ed anche :

https://www.winetaste.it/il-cile-assoluto-vincitore-al-cmb-2010/

 

Buone letture

RG