Home Curiosità COME DIFENDERSI DAL BRETT

COME DIFENDERSI DAL BRETT

Le “puzze” nel vino sono uno dei problemi da risolvere in produzione. E anche se negli ultimi anni alcune sono ritenute affascinanti, nella maggior parte dei casi gli enologi lottano per gestirle il più possibile. Abbiamo chiesto a uno di loro di spiegarci come

 

 

Partiamo dalle basi: il Brettanomyces è un lievito indigeno o un lievito comunque naturalmente presente sull’uva, con (purtroppo) una grandissima resistenza a tantissimi fattori ambientali, che si trova anche nel vino e crea i famosissimi problemi di etilfenoli, i fenoli volatili. Le vogliamo chiamare puzze? Possiamo. Ad alcuni piacciono, alla maggior parte delle persone danno fastidio: sono diventate “di moda” negli ultimi anni e sempre più spesso vengono giustificate come conseguenze naturali e quindi vendute come difetti che garantiscono la salubrità del vino e la sua produzione senza interventi.

 

Non sempre, ma molto spesso, è presente già sull’uva: ci sono alcune tipologie di uva che sono più portate ad avere problematiche di questo tipo e uve meno portate.
La predisposizione dipende fondamentalmente da due fattori principali: il pH di quest’uva e del risultante vino e ovviamente la sua acidità (che in parte ne determina anche i valori di pH). Più l’acidità è alta, solitamente più il pH è basso, anche se non sempre accade. Le varietà più soggette sono il Lagrein, per esempio, che ha acidità alta e nonostante questo ha anche un pH alto, oppure il Teroldego o lo Syrah.

Non sono esenti da questo tipo di contaminazione anche molti vitigni più diffusi a livello globale come il Cabernet, il Merlot e molte delle varietà rosse. Inoltre, non sono immuni da questi problemi anche le varietà bianche, in cui in alcuni casi il Brett porta alla produzione di etilfenoli ma a difettosità diverse a livello organolettico e percettivo.

 

Il Brett è naturalmente presente nell’ambiente, non è stato portato dai marziani, e quindi può creare dei problemi se non controllato, se non gestito, se non combattuto: non lo possiamo eliminare del tutto, perché lui c’è ed è molto resistente. Ma è possibile eliminarlo in produzione, con delle filtrazioni molto strette. Risolveremmo il problema? Non sempre e non per forza.

Ricordiamo che in gergo una “filtrazione stretta” o “sterile” prevede di utilizzare dei filtri con delle porosità che permettano il passaggio di molecole/microorganismi non più grandi di 0,45/0,2 micron. Pensando che la stragrande maggioranza dei lieviti ha cellule più grandi di 1 micron e i batteri più comuni del e nel vino hanno cellule più grandi di 0,45 micron, capiamo che la filtrazione sotto i 0,45 micron garantisce una discreta sicurezza di sterilità. Finendo il vino in un ambiente completamente sterile come può essere una bottiglia di vino tappata, imbottigliata con una riempitrice sterile e quindi con delle macchine che fanno il loro lavoro correttamente gestite da un tecnico che sa quello che fa, l’avremmo probabilmente eliminato.

 

Ma non è esattamente così. La natura, infatti, tende sempre a riempire i cosiddetti “spazi vuoti”: filtrando in maniera sterile un vino e mantenendolo poi in un ambiente come una cantina, che sterile non può essere, si espone a una quantità di rischi molto più alta rispetto a un vino in cui gli “spazi biologici” siano già occupati da una miriade di microrganismi in equilibrio fra loro.
Ovviamente è buona norma e primo passo per un tecnico riscontrare la possibile presenza di Brett con controlli organolettici, quindi naso e bocca, o quelli di laboratorio, quindi facendo un’analisi quantitativa dei fenoli volatili, cosa che però presuppone un intervento a danno/problema già fatto e/o in corso, o con un’analisi quantitativa e qualitativa (cellule vive o morte) della presenza di Brettanomyces nel nostro vino.

 

Il Brettanomyces può arrivare in cantina sull’uva, quindi, o su una delle attrezzature a prescindere che siano vecchie o nuove: molto spesso viene portato in cantina dall’utilizzo di vecchie barriques acquistate da altre aziende e a volte può essere presente anche sul legno nuovo. Che cosa dobbiamo fare per difenderci? Uno dei parametri fondamentali per proteggerci dalle minacce è la pulizia. Quindi iniziamo dalla pulizia estrema in cantina: evitare che siano presenti residui di vino sui pavimenti, sui serbatoi (a volte gli sbalzi termici in cantina possono far fuoriuscire del vino dai camini dei serbatoi), la pulizia delle pompe e di tutto quello che viene a contatto con il vino.

 

Tutto questo non per eliminare il fatto che nel vino che abbiamo appena prodotto, nel mosto o sull’uva si trovi la “bestia nera”, ma affinché, in caso sia malauguratamente presente, non vada a propagarsi in maniera incontrollata e possa passare agevolmente da un serbatoio all’altro, magari utilizzando la stessa pompa per un travaso in tempi diversi o gli stessi tubi o la stessa attrezzatura.

 

 

I buoni amici di Enologi Brutti lo hanno chiamato “utilizzo dell’acqua”. Ovviamente sì. Ma l’utilizzo dell’acqua serve solo in parte, perché sono necessari dei prodotti specifici per eliminare il problema, quindi acqua, soda o perossidi per abbassare e/o eliminare la carica microbica, oppure mezzi fisico/chimici come l’ozono o l’acqua ozonizzata. Partiamo da un presupposto: la sterilità in cantina, nell’operatività normale, è molto difficile da raggiungere e forse anche inutile. La natura ha il cosiddetto horror vacui, come dicevano i latini: ha cioè la paura del vuoto.

Quindi, se noi creiamo uno spazio vuoto, in questo caso filtriamo il nostro vino in maniera sterile e abbiamo un ambiente tendenzialmente sterile in cantina (cosa praticamente impossibile), ovviamente qualsiasi microrganismo prima o poi potrà arrivare a colonizzare quell’ambiente. Ovviamente, può darsi che arrivi qualcuno anche di indesiderato e quindi che si creino dei grossissimi problemi. Ricordiamoci che la sterilità, e le operazioni necessarie per cercare di mantenerla, non fanno altro che “selezionare” ceppi di microrganismi sempre più resistenti a tali trattamenti, un po’ quello che per assonanza succede nel nostro corpo con l’utilizzo incontrollato degli antibiotici.

 

Meglio avere quindi un ambiente popolato di vari microrganismi, tra cui lieviti, batteri e altro, però in maniera sana ed equilibrata. Un giusto equilibrio tra questi creerà un ambiente complesso, e in natura un ambiente complesso è anche un ambiente più resiliente agli stimoli esterni e più incline a “parare” i colpi che potrebbero portarlo fuori equilibrio. Facciamo un breve esempio facile da capire, semplificando molto e utilizzando animali di grossa taglia.

 

Se per esempio da un bosco popolato di erbivori si eliminassero tutti i predatori carnivori, in relativamente poco tempo avremmo una proliferazione incontrollata degli erbivori che passerebbero dall’essere un elemento positivo di quell’ambiente all’essere un problema di degrado per il bosco stesso. Ecco più o meno quello che succederebbe “svuotando” un vino, filtrandolo in maniera sterile. Quindi come sempre, una normale pulizia come quella che si potrebbe avere in una cucina, senza esagerare, è una delle soluzioni migliori per tenere a bada il problema. Ovviamente evitando di avere proliferazioni di microrganismi o di ceppi di microrganismi che potrebbero creare problemi.

 

Ma non solo la pulizia può aiutare a combattere il Brett. In commercio sono presenti da qualche anno anche molecole a base di chitosano, in diverse formulazioni e diverse concentrazioni a seconda dell’utilizzo specifico per cui viene selezionato. Il chitosano viene estratto da due fonti principali: dall’Aspergillus Niger, che viene moltiplicato per produrre specifiche molecole, in questo caso il chitosano, oppure estratto dalla chitina presente nell’esoscheletro di alcuni crostacei.

Quello utilizzabile per legge in enologia è quello derivante da Aspergillus Niger, ha un costo piuttosto elevato e non è esente da effetti secondari su altre molecole positive del vino. L’altro, derivando invece dalla chitina dei crostacei, potrebbe contenere degli allergeni e quindi non può essere utilizzato nel vino.
Il chitosano in sostanza non fa altro che inattivare le cellule del Brett ed eliminarle, uccidendole. Anche in questo caso c’è da capire chi eliminiamo, quanto eliminiamo, e quando e quante volte è il momento giusto per fare questo trattamento al vino.

 

Infine, ultimo ma forse elemento più importante di tutti, possiamo intervenire con la verifica di pH e acidità. Infatti ci possiamo difendere dal Brettanomyces in maniera consona anche con i pH giusti e le acidità giuste. Ovviamente questo è legato a una molecola, cioè a un coadiuvante importantissimo che può essere utilizzato nel vino, che è la cara e vecchia solforosa. Vi starete chiedendo: cosa c’entrano pH, acidità e solforosa? Facciamo un piccolo preambolo: la solforosa immessa in un vino si divide solitamente in due frazioni, che poi sommate danno vita a una terza componente. Quindi c’è la famosa libera, che è la porzione di solforosa che essendo appunto libera è ancora in grado di agire, sia a livello antiossidante sia a livello antimicrobico.

C’è la combinata, che è quella che ha già reagito alternativamente con degli ossidanti, quindi ossigeno, acetaldeide e quant’altro. Libera e combinata, sommate insieme, danno la solforosa totale. Della solforosa libera, una piccolissima componente viene detta solforosa molecolare, che alla resa dei conti è quella veramente attiva sugli “agenti patogeni” o comunque sui microrganismi indesiderati che possano quindi creare problemi, siano essi batteri o lieviti all’interno del vino. Attenzione: non parliamo mai di microrganismi di per sé dannosi per l’uomo o per la salute umana: anche se non usassimo solforosa e avessimo un vino che puzza come le fogne di Calcutta, il problema del Brett non è mai salutistico (o quasi, ma qui potremmo aprire la parentesi “ammine biogene” di cui magari parleremo in futuro).

Come non è un problema di salute la percentuale di solforosa in un vino, aggiunta e utilizzata in maniera corretta e in dosi sempre e comunque ben al di sotto delle quantità potenzialmente pericolose per la salute.
Quindi, in soldoni, la solforosa molecolare è tanto più alta quanto più basso è il pH: ergo, se abbiamo acidità alta, avremmo tendenzialmente pH bassi e di conseguenza la possibilità di proteggersi meglio da qualsiasi tipo di microrganismo, non solo dal Brettanomyces.

Riassumendo, quindi: pulizia e ancora pulizia. Se ci sono problemi possiamo filtrare o utilizzare il chitosano. Una è un’azione fisica e l’altra è un’azione chimica, o meglio chimico-biologica. Inoltre il fattore da controllare di più è sempre quello di sapere che cosa si fa, quando lo si fa e perché lo si fa. La famosa solforosa gioca un ruolo di controllo fondamentale, sempre in correlazione all’acidità e al pH: dobbiamo sempre avere ben presenti i risvolti positivi e anche quelli potenzialmente negativi che potrebbe avere all’interno del nostro vino.

Sappiate sempre quello che fate e cercate di conoscerne nei dettagli gli effetti. Ma soprattutto sappiate quello che non fate: è, forse, ancora più importante. Da bevitori, quando scegliete un vino, fate caso più a quello che vi suggerisce l’olfatto che a quello che vi raccontano.

 

( Fonte Linkiesta.it )

ANEDDOTO

Mi trovavo in Francia, zona Bordeaux, insieme ad un gruppo di giornalisti, enologi e docenti universitari di enologia, in visita ad una famosa cantina. Ci fanno assaggiare quattro dei loro vini, venduti all’epoca a 100 euro/bottiglia ( siamo intorno agli anni 2003 ) , almeno tre di questi avevano un netto e chiaro difetto da brett. Mi si avvicina un professore universitario, di cui sono amico, mi chiede se ho sentito qualcosa di anomalo nel vino. Gli rispondo affermativamente : ” Almeno 3 vini su 4 sono inficiati dal brett, quasi imbevibili “, mi suggerisce di dirlo alla proprietà, al che gli rispondo : ” La figura piu’ autorevole per dirglielo sei tu ” e ci siamo astenuti entrambi, ma anche gli altri partecipanti alla degustazione.

Questo per sottolineare il fatto di come fossero, o ancora siano, bravi i francesi a vendere a caro prezzo una bottiglia di vino, che personalmente non berrei nemmeno regalata. Il vino è una bevanda edonostica e non vitale come l’acqua, quindi chi ce lo fa fare di bere del vino difettato di cattivo odore e di cattivo gusto ?

RG