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Lamborghini, Miura e vini. Una fortuna che partì da quella lite con Ferrari…

Partì dai trattori, poi Maranello rifiutò le sue frizioni: allora costruì le auto da sè. E furono subito amate dai potenti del tempo, in lista d’attesa per averne una: dallo Scià di Persia Reza Pahlavi a Frank Sinatra. Negli ultimi anni si dedicò alle vigne e alle golf car ecologiche

 

A metà degli anni Sessanta Ferruccio Lamborghini, produttore di trattori che si era fatto da sé nel ferrarese, possedeva tre Ferrari, che si divertiva a guidare per diletto, in scorribande campagnole con gli amici che finivano a lambrusco e salame. Ma ogni volta, guarda un po’, gli saltava la frizione, tant’è che ne volle parlare con il grande vecchio Ferrari visto che tra l’altro aveva capito che le frizioni dei suoi trattori montate sulle auto funzionavano molto meglio. Ma Ferrari dopo avergli fatto fare un po’ di anticamera gli disse: «Vai a guidare i tuoi trattori, che con le Ferrari non ci sai fare».

 

 

Conflitto leggendario e sorprendente – nessuno osava contraddire il leggendario Enzo – che è finito nel film sulla vita dell’altrettanto fumantino Ferruccio, titolo Lamborghini – L’uomo dietro la leggenda presentato lo scorso anno al Festival di Roma, regia di Bobby Moresco, interprete Frank Grillo. Tant’è che Lamborghini, piccato, fece due conti e la sera a casa disse a moglie e figlio: «Da domani le costruisco io le auto». Ma ti costerà un botto! «Sì, ma vedete: noi spendiamo un miliardo di lire in cartellonistica stradale per far pubblicità ai nostri trattori, con quei soldi faccio la fabbrica di macchine e se mi va bene ci verrà indietro notorietà gratis».

 

Pare che Ferrari commentasse sbrigativo: «Al massimo abbiamo perso un buon cliente». Fu cattivo profeta: aveva trovato sulla sua strada un concorrente di ferro. La pubblicità di ritorno fu enorme ed entusiasta, perché la macchina che sarebbe nata, la Miura, presentata al Salone di Torino nel 1965, fu subito vagheggiata da signori e signore e amata dai potenti del tempo, in lista d’attesa per averne una: dallo Scià di Persia Reza Pahlavi a Frank Sinatra. Lamborghini riuscì a produrne subito un modello rivoluzionario (motore montato trasversalmente fra abitacolo e assale) chiamando una squadra coi migliori del tempo, da Giampaolo Dallara a Paolo Stanzani a Giotto Bizzarrini, per progettarla.

Quando il carrozziere numero uno di allora, Nuccio Bertone, vide il telaio disse: «Io sono quello che te la può vestire». Anche il nome dell’auto ha una sua storia: innamorato del toro, suo segno zodiacale, Lamborghini lo volle nel logo dell’azienda, contrapponendolo al Cavallino Ferrari. E per la sua nuova auto, pensata forte, sinuosa e cattiva, scelse Miura: il cognome di un allevatore che così aveva ribattezzato una razza alfa di tori da corrida.

 

la Miura

Lamborghini, contadino di cervello strafino, era anche capace di ricredersi. Il figlio Tonino (papà di Elettra, Miura di secondo nome) collezionava auto e lui storceva il naso: meglio venderle. Poi si accorse che l’idea era buona e chiese al figlio di fare di quella passione una nuova occasione di popolarità per il casato. Nacque il Museo polifunzionale a Dosso, provincia di Ferrara.

 

Lasciate le auto con la crisi petrolifera, s’è messo a fare vino (Sangue di Miura) in Umbria, a Panicarola. Dove, con il solito impegno e la solita vena di sana visionarietà, costruisce un campo da golf vicino alle vigne («Il golf è il futuro») dopo averne visitati 40 nel mondo e progetta caddy da golf ecologiche ad azionamento idraulico. A Panicarola muore, il 20 febbraio 1993.

( Fonte Corriere.it )