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La Sicilia e il vino delle contraddizioni

Una produzione vitivinicola di eccellenza che si dimostra esterofila. La Sicilia il vino lo produce ma non lo beve, non il suo. La testimonianza di tre produttori

 

 

La Sicilia è astemia. Non nel significato totalizzante del termine, ma in quello discriminatorio. Sì perché la Sicilia il vino in realtà lo beve – il 43% della popolazione (dati Istat 2014) – ma non il proprio. Eppure la materia prima non manca, i produttori nemmeno, e la qualità si difende nella comparazione con i best seller italiani ed europei, vedasi i cugini toscani e francesi.

I numeri danno il gancio ad una riflessione necessaria.

 

Francesco Ferreri, Presidente Assovini Sicilia, in chiusura del 2014 dichiarava: “Eleganza ed equilibrio sembrano quindi le parole d’ordine per i vini siciliani 2014. L’annata è in linea con quella 2012, con percentuali di produttività un po’ più basse nella zona occidentale e un po’ più alte nella zona orientale“. Il trend in crescita della produzione di vino siciliana si attesta intorno al +30% dal 2012, superando i 6 milioni di ettolitri annui. L’isola è una Cenerentola rispetto ai competitor internazionali e contribuisce in minima parte alla produzione nazionale (circa 44 milioni di ettolitri in Italia nel 2014), soffrendo soprattutto di un forte peso esercitato nei volumi dalle produzioni di vini comuni, di bassa qualità, a discapito delle produzioni dei vini a denominazione d’origine, il cui andamento è pressoché statico.

 

Circa 160 le cantine siciliane e 2.800 produttori di uva , di cui 90 con etichetta privata sono solo sull’Etna. Molti dei produttori esportano la totalità o la maggiore fetta dei loro volumi. Brasile, Cina e Sud Est Asiatico, India, Nord America, Hong Kong e Russia: questi i mercati più competitivi e a maggiore potenzialità di sviluppo: mercati grandi e sofisticati. È soprattutto il mercato americano a bere il vino siciliano. Questo rappresenta infatti il primo importatore anche per il vino italiano. Se gli USA dunque rappresentano un mercato particolarmente appetibile per le aziende che esportano, l’attenzione va comunque mantenuta molto alta sulla Cina, mentre ancora scarsa la domanda da parte degli altri Paesi dell’area BRIC, fatta eccezione per il Brasile che si dimostra curioso verso i vini siciliani. Sicuramente vanno consolidate le posizioni raggiunte su Germania e Svizzera, confortate anche da diverse indagini di mercato, e poi in Inghilterra dove serve ancora fare molta comunicazione e dove il brand Sicilia ha ampi margini di crescita.

 

Tanto export è un bene? Certo se si guarda all’internazionalizzazione del mercato vitivinicolo siciliano e all’incremento di fatturato che alimenta il business del settore, tenendolo in vita. Ma al territorio chi ci pensa? “Dobbiamo fare di più per far crescere la cultura del vino tra gli stessi siciliani. E anzi mi sento di lanciare un appello alle cantine dell’Isola affinché non trascurino proprio la Sicilia. Si è forti nel mondo se si è forti a casa propria». Con queste parole l’ex direttore generale dell’Irvos (Istituto regionale Vini e Oli di Sicilia) sviscerava nel 2014 una problematica attuale più che mai, come dimostrano le tre testimonianze raccolte sull’Etna da Il Giornale Digitale.

 

I vini dell’Etna. Tre produttori locali si raccontano

 

( Etna Bianco Superiore della Tenuta Barone di Villagrande. Ph. Alessia Di Raimondo )

 

Sull’Etna la vitivinicoltura ha le sue peculiarità, sia per l’originalità dell’ambiente pedo-climatico, in cui interagiscono natura del terreno, altitudine ed esposizione, sia per la peculiarità dei vini che si producono. I vini dell’Etna rivestono un ruolo a sé che li distingue da tutti gli altri per due fondamentali ragioni. In primis le caratteristiche chimiche e sensoriali particolari, frutto del felice connubio tra l’ambiente pedo-climatico ed i vitigni autoctoni (fondamentalmente “Nerello mascalese” e “Carricante”). Impossibile non distinguere un vino dell’Etna da un vino del versante occidentale della Sicilia, almeno per un intenditore. L’”Etna rosso”, l’”Etna rosato” e l’”Etna bianco” aprono un ventaglio di emozioni al gusto e all’olfatto che fanno dei vitigni etnei un’eccellenza sul territorio siciliano. Marco Nicolosi, Tenuta Barone di Villagrande (Milo), racconta le peculiarità della produzione di nerello mascalese e carricante ai 700mt di altitudine della sua tenuta. “Vogliamo lasciare esprimere le potenzialità del territorio e dell’uva. Per questo non usiamo prodotti chimici ma solo prodotti naturali, riponendo il vino in botti di legno di castagno per prolungarne la durata e preservarne il colore“. Una produzione di 80.000 bottiglie l’anno di cui in Sicilia va solo il 40%. “Torino, Milano e Roma sono le nostre piazze italiane. La California e New York il nostro primo mercato“, racconta Nicolosi confermando il trend delle vendite di vino regionale che ‘snobba’ l’isola. Indagando sul perché, la risposta è netta: “I ristoratori siciliani non pagano. Il recupero CREDITI è difficile. Il business non sarebbe sostenibile rivolgendoci al territorio. L’estero ci rispetta di più“.

 

( Palmento e coltivazione ad alberello di Terra Costantino – Ph. Alessia Di Raimondo )

Non diversa la posizione di Fabio Costantino di Terra Costantino (Viagrande). A 500mt di altezza sull’Etna una produzione biologica di nerello mascalese e carricante cataratto nel rispetto della biodiversità. Biodinamica, bioarchitettura, e il tocco di un enologo toscano, Luca D’Attoma, per una produzione d’eccellenza che si attesta attorno alle 50.000 bottiglie annue. “Ci chiamiamo Terra Costantino perché siamo legati al territorio, ma il vino siciliano non si vende sul territorio” – afferma Fabio e continua – “America del Nord e del Sud, Inghilterra e Germania, poco Centro Italia. Questi i nostri mercati per un vino che non ha nulla da invidiare al blasonato vino francese“. E ad avvalorare questa sua dichiarazione racconta un aneddoto forse noto a pochi: “Ricordiamoci che in passato dalla Sicilia – da Riposto in provincia di Catania – partivano le botti di vino da caricare sui vascelli diretti in Francia. Il vino francese senza il contributo siciliano non poteva esprimere la sua potenzialità. Ma non tutti lo sanno“.

 

( Le coltivazioni ad alberello della Tenuta Monte Gorna – Ph. Alessia Di Raimondo )

 

Infine, Sebastiano Licciardello, di Tenuta Monte Gorna (Trecastagni), non nasconde l’orgoglio di aver prodotto con la sua famiglia qualcosa di proprio, con una propria immagine, oggi venduto in Costa Rica, USA, California, Londra e Francia. E la Sicilia e l’Italia? “Non vendiamo sul territorio. Troppa concorrenza e pagamenti in ritardo. La ristorazione locale non è pronta. In America mandi una bottiglia per provarla e vogliono pagartela. In Sicilia consegni un ordine di bottiglie per la ristorazione e non le avrai pagate nemmeno a consumo finito“, ha asserito Licciardello. E così una produzione che cresce nei luoghi descritti da Verga in Storia di una Capinera, intrisi di cultura ed emozione, e potenzialmente valorizzabili anche turisticamente non ha il privilegio di essere apprezzata dal territorio stesso che la ospita.

 

Educare il territorio ad apprezzare e rispettare i suoi prodotti per non perdere la propria identità e il privilegio del “made in Italy”. Bene esportare l’”Italian Lifestyle” e le ricchezze dell’enogastronomia nostrana, senza perdere, però, quel quantum di sano egoismo che porta a tenersene un po’ per sé.

 

 

( Fonte Alessia di Raimondo – ilgiornaledigitale.it )

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Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:

» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );

>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino

>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest

>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge

ed ai maggiori concorsi italiani.