L’enologo lavora da anni a un concetto di terroir diffuso, basato su “coltivazioni allineate su uno stesso orizzonte”. Una linea che, partendo dalla Mesopotamia, arriva al più moderno vino americano.
C’è una linea magica che abbraccia il mondo del vino. Una sorta di hula hoop che fa roteare bianchi e rossi a 360 gradi. Letteralmente. È il parallelo 43, non uno qualunque. Per capire i significati più o meno nascosti che si celano dietro questa circonferenza universale basta seguirne il percorso con il dito su una cartina o direttamente sul mappamondo. Si scopre così che dalla Georgia caucasica fino agli Stati Uniti, quella linea segna alcune tappe fondamentali della viticoltura. Se n’è accorto un enologo e consulente vinicolo, nonché produttore a Montalcino nella sua azienda Poggio al Sole, della fama di Roberto Cipresso.
Veneto trapiantato nel centro Italia (si muove tra Marche e Toscana, dall’Adriatico al Tirreno, ovviamente sul parallelo 43), ha alle spalle esperienze che spaziano dall’Italia al Sudamerica, passando per ex Jugoslavia e Spagna, che gli hanno fruttato numerosi premi internazionali. Su quel percorso circolare, Cipresso sta studiando e costruendo un itinerario del gusto senza precedenti, un’esperienza professionale e filosofica che prende vita dalla sua cantina-laboratorio Winecircus, inaugurata nel 1995 con il progetto “La Quadratura del cerchio” evoluto oggi nella nuova sfida “Cipresso 43”.
Tra suggestioni stile cabala e coincidenze (esistono davvero?), che il viaggio abbia inizio: “Si parte dalla regione del Tigri e dell’Eufrate – spiega Cipresso – le cui sorgenti nel massiccio del Tauro, secondo la tradizione, sarebbero proprio la zona dove hanno avuto origine le prime forme di viticoltura. Poi il parallelo 43 passa dalla Croazia, cuore del Plavac Mali (uva rossa tipica della costa dalmata) e arriva nella zona tra Marche, Umbria e Toscana, terre rispettivamente del Montepulciano, Sagrantino e Sangiovese, per poi spostarsi nella coda della Corsica e andare a toccare il Midì francese (regione del Viogner e della Grenache) e i Paesi Baschi (patria del bianco Txacoli). Quindi entra a New York e attraversa l’Oregon, che è l’avanguardia del vino americano del momento: mai come ora si parla di quella terra come capitale del vino made in Usa”. Ma non è tutto: su questa linea si scoprono altre cose interessanti. “Medjugorje, Assisi, Santiago De Compostela e Lourdes si trovano tutte sul parallelo 43: io sono ateo – riflette Cipresso – ma qualcosa di speciale ci deve essere, qualcosa di magico”. Ed ecco l’idea che si fa strada: “Con l’università di Firenze, con cui sto già collaborando – dice l’enologo – vorrei riuscire a costruire tutto il dettaglio del parallelo 43: la geografia, la geologia, le altitudini, l’orografia, il clima. E poi capire quali sono gli elementi che lo identificano come speciale. Una cosa che mi incuriosisce molto e che vorrei approfondire è il fatto che il 43 segna il confine nord del clima Mediterraneo”.
Ma da dove spunta nella vita di Cipresso (all’attivo pubblicazioni e libri come “La vita è meravigliosa se bevi buon vino” e “Vinosofia. Una dichiarazione d’amore in 38 bicchieri”, entrambi scritti con Giovanni Negri ed editi da Piemme) questa passione che intreccia vino, geografia e ricerca? “Non sono mai andato a caccia di suggestioni, ma ho sempre avuto voglia di studiare e sperimentare assemblaggi particolari”. In principio, nel 1995, fu la “Quadratura del cerchio”, un vino inventato da Cipresso, fatto con un uvaggio che lui stesso definisce “improbabile”: Schioppettino e Refosco del Friuli, e poi Montepulciano d’Abruzzo e Sangiovese dell’azienda senese, La Fiorita, di cui era socio. “All’inizio ho messo insieme vini provenienti da queste tre regioni – racconta Cipresso – ma non è stata un’impresa facile. Era il momento storico del “new world” dei vini hollywoodiani, quando gli americani provavano a imitare i prodotti italiani, soprattutto i super Tuscan (a base di Cabernet Sauvignon, ndr). Ma io cercavo qualcosa di diverso e così ho continuato a incrociare terroir differenti, seguendo un’intuizione dell’enologo russo André Tchelistcheff, perseguitato dal regime, colui che in tempo di proibizionismo faceva il vino da messa. Lui per me è stato un faro, un vero genio. Era proprio il momento in cui negli Usa la gente impazziva per vini come Tignanello, Sassicaia, Solaia e così via. Anni fa ebbi la fortuna di visitare la sua casa e così, scartabellando tra i suoi scritti, ho trovato una indicazione bellissima: lui diceva che gli americani erano sciocchi e pecoroni perché, innamorati dei vini toscani, pensavano di poter piantare Sangiovese in California e fare un blend simile a quello toscano. Ma secondo Tchelistcheff, l’unico vitigno Usa che poteva essere abbinato al Sangiovese era lo Zinfandel, che in pratica è il Primitivo di Manduria”.
A quel punto in Cipresso si accende una lampadina: perché non mescolare in Italia Sangiovese e Primitivo di Manduria? Detto fatto. Il risultato è buono, ma l’enologo veneto non è ancora soddisfatto e si spinge oltre. Seguono venti anni di grandi sperimentazioni e di “Quadrature”, cioè bottiglie sperimentali prodotte in quantità ridotte, bevute tra amici e vendute a pochissimi, cambiando ogni volta blend. “Gli stessi sommelier mi dicevano: che cosa devo studiare quest’anno? – ricorda Cipresso – Erano avventure intriganti, stimolanti”. Raggiunta un’ampia esperienza, l’enologo veneto decide di fare un ulteriore passo avanti: scendere in campo con il fratello Gianfranco – agente di commercio del gruppo Area 6 – come produttore prima ne La Fiorita e poi nella sua nuova, piccola azienda Poggio al Sole. “Ho cominciato allora ad analizzare in modo più capillare i vini e a capire con maggior profondità quali fossero i punti di forza e di debolezza del mio progetto. E dopo aver peregrinato e raccolto spunti qua e là, provando a mescolare vitigni vari in tutta Italia, ho pensato di concentrarmi su tre uve: Sagrantino, Sangiovese e Montepulciano”. È un momento di svolta per Cipresso e per la sua azienda: finalmente, dopo aver tanto seminato, il wine maker comincia a raccogliere i primi veri frutti. Ed ecco delinearsi tre vini: Quadratura del cerchio, Pigreco e Punto. Tre nomi suggestivi e non causali: rappresentano uno stile, una vera e propria filosofia del vino basata sulla ricerca. Pigreco è formato da due tipi di Sangiovese che vengono dallo stesso clone piantato in un vigneto marchigiano e in uno toscano. “Fermentate insieme, le uve danno un risultato armonico, senza nessun elemento che strida”, spiega Cipresso. Poi c’è il Punto, fatto con Sangiovese toscano e Montepulciano marchigiano; la Quadratura è un blend di Sangiovese toscano, Montepulciano e Sagrantino. Infine c’è il Punto bianco: Viogner e Vermentino.
E non è ancora tutto. “A quel punto, mettendo insieme i tasselli del puzzle, scopro che tutto quello con cui ho a che fare è parte di una linea più fisica che ideale: il parallelo 43 – dice Cipresso – Mi spiego meglio: la mia azienda è la prima, forse nel mondo, dove il terroir non è pensato in un vigneto strutturato tradizionalmente in un’area, ma snodato su una linea. Un terroir diffuso che offre 5 uve autoctone (i tre vitigni rossi e i due bianchi). Coltivazioni che sono allineate su uno stesso orizzonte, segnato appunto dal parallelo 43. E’ come se la chimica delle cose mi avesse portato a fare questa scoperta inconsapevole, facendomi muovere lungo uno stesso, identico, profilo geografico. È stata una sorpresa incredibile, un concetto che ha preso forma. Il 43 mi è arrivato gratis, non sono partito da lì. Non so perché”. E allora è difficile non cedere alle suggestioni: “Il 4 e il 3 sono numeri magici, che hanno a che fare con gli studi del Fibonacci (il matematico Leonardo Pisano detto appunto il Fibonacci, ndr), che hanno una chimica e un’alchimia. Tutto questo conferma un’idea di cui io sono sempre stato convinto: nel terroir il parallelo vale di più del meridiano. I master of wine, quando degustano, si domandano da dove il vino venga: altitudine, colline, suoli e così via. La domanda sul parallelo è centralissima, non chiedono in quale spicchio si trovino i vigneti, ma il loro identikit legato alla posizione geografica”
E pensare che di mestiere Cipresso voleva fare l’alpinista. “A 20 anni, prima di dedicarmi al vino, sognavo e speravo di poter vivere di montagna. Ero uno scalatore bravo e credevo di poter fare l’alpinista di lavoro: esplorare le altezze mozzafiato in Francia, in Jugoslavia e sulle Dolomiti per me era la professione. Ma la montagna è stata la mia maestra di vita anche nel mondo del vino: quando ti arrampichi misuri i tuoi limiti, non ti fai sconti, impari ad aver paura, sai dove puoi arrivare, fai le scelte più logiche. E impari ad osservare e a cogliere i dettagli, cosa fondamentale nel fare il vino. Quindi quando mi sono avvicinato al vino, l’ho fatto già sapendo fin dove potevo arrivare”. La passione per la filosofia ha fatto il resto: “Il nome quadratura del cerchio è l’utopia, il disegno ideale: è l’enigma filosofico per eccellenza, e il più ardito: perché non posso quadrare il cerchio? Per colpa del p greco, che è il numero irrazionale. Da lì viene fuori il Punto. Smonto le linee e ne faccio altre geometrie. Io so che se smonto un quadrato in punti posso fare un cerchio, è l’unico modo. Questo è un concetto che si associa benissimo al vino. Mi spiego: solo con la matematica, con la chimica e con la biologia non si può fare un grande vino, che invece nasce quando all’interno dei meccanismi tecnici puoi mettere qualcosa di tuo: il genio intrinseco nell’uomo. Quindi il vino si fa lavorando la materia, ma anche dando valore anche all’istinto. Se una bottiglia è grande e sopravvive al tempo, c’è sempre l’uomo al centro”. E poi si sa, come canta Renato Zero, la geometria non è reato.
( Fonte repubblica )
Annotazioni a margine
Roberto Cipresso, oltre ad essere un bravo professionista, è una persona con i piedi ben saldi a terra, che è rimasta umile e tranquilla, senza ” montarsi ” la testa, come purtroppo capita anche in questo settore. Ma d’altronde è risaputo e la mia esperienza di vita me lo conferma : i mediocri sono arroganti, altezzosi e ” gasati “, i ” grandi ” rimangono belle persone, che non si atteggiano e si mettono al livello degli interlocutori !
RG
Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali:
» Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente );
>>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino
>>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest
>>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge
ed ai maggiori concorsi italiani.